La crisi venezuelana: la partita del riconoscimento internazionale

Come in una nuova guerra fredda: Erdogan e Putin con Maduro (a sinistra), Trump con Guaidò (a destra). FOTO LASTAMPA

La situazione venezuelana che da più di un anno condiziona la vita e il destino di molti cittadini (e concittadini italiani) sembrerebbe aver raggiunto l’apice dell’interesse internazionale solamente qualche giorno fa, con il “golpe” di Juan Guaidò, leader dell’opposizione a Maduro, che ha spiazzato il mondo intero creando un accanito dibattito tra i sostenitori del Presidente del Venezuela e il suo principale oppositore.

Se da un lato, la situazione interna sembrerebbe trovarsi di fronte ad uno stallo, uno stallo doloroso con decine di morti e feriti negli scontri tra manifestanti e le forze di polizia, dall’altro la situazione internazionale, o diplomatica, ha subito una decisa accelerazione dopo la decisione brasiliana e statunitense di riconoscere Guaidò come nuovo Presidente. Il Brasile di Bolsonaro, nuovo bastione della destra sudamericana, non ha perso tempo e, sfruttando il fallimento del socialismo bolivariano, si è apprestato a mettere i bastoni fra le ruote a Maduro il prima possibile. Stessa cosa ha fatto il Tycoon statunitense, dall’alto di una trumpiana visione della dottrina Monroe. Ovviamente il veto del Presidente della Federazione russa, Putin, ha frenato l’iniziativa statunitense che, non potendosi spingere oltre, attende che la rivoluzione in atto in Venezuela faccia il suo corso.

Anche Maduro può contare su degli appoggi internazionali importanti. Dopo Putin, anche Erdogan ha espresso irritazione nei confronti dei rivoltosi, simbolo importante di una Turchia più orientata ad Est che verso l’Unione Europea e il suo alleato nordamericano. Anche il Messico e la Bolivia, culle del sentimento anti-statunitense, appoggiano indistintamente il chavista.

In Europa, si respira un’aria diversa, quasi surreale. La Spagna, dall’alto del suo ruolo di storico mediatore europeo con i Paesi sudamericani, ha deciso di appoggiare politicamente Juan Guaidò, eletto Presidente dalla democratica e legittima Assemblea Nazionale, seguita a ruota dalle altre potenze del continente che, democraticamente, hanno intimato a Maduro di procedere con delle votazioni legittime, pulite e non pilotate entro una settimana. L’ultimatum è scaduto qualche giorno fa e, come da previsione, le potenze europee hanno riconosciuto il leader di Voluntad Popular come legittimo Presidente della Repubblica del Venezuela. Il riconoscimento arriva unilateralmente da ogni singolo Paese dell’UE e non in nome dell’Unione Europea perché l’Italia ha bloccato, con un voto contrario, la dichiarazione ufficiale di riconoscimento del Presidente provvisorio. La dichiarazione, per essere approvata abbisognava dell’unanimità dei 28 Paesi UE nella votazione.

Infatti, contrariamente a quanto avvenuto all’interno dei “big” europei come Germania, Francia e Spagna, il nostro Paese è diviso tra coloro che sostengono Guaidò e coloro che sostengono Maduro. All’interno dello stesso Governo ci sono delle divisioni, l’ennesime, riguardo la faccenda. Il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sacrificando la sua amicizia con Putin, ha dichiarato la sua avversione verso Maduro (“un dittatore comunista”) e ha invitato il Movimento Cinque Stelle, diviso a sua volta, a prendere una decisione favorevole verso Guaidò. Su tutti, Alessandro Di Battista, è stato sicuramente il più esplicito, accusando gli Stati Uniti di ingerire volontariamente nella situazione interna venezuelana per impossessarsi del patrimonio del primo Paese al mondo per riserve di petrolio accertate. Il Presidente Mattarella spinge per il riconoscimento del leader dell’opposizione, mentre il Premier Conte frena, chiedendo però nuove elezioni democratiche e trasparenti per mettere a tacere i detrattori. Lo stallo italiano è dovuto probabilmente agli interessi che il nostro Paese intrattiene in Venezuela, dove la comunità italiana è una delle più numerose. Sicuramente la “minaccia” di una guerra civile, ha frenato la risposta italiana.

Il “non intervento italiano”, di fatto ha bloccato un intervento congiunto dei Paesi europei che procederanno autonomamente. Il Governo è diviso e si lascia andare a delle dichiarazioni contraddittorie che da un lato strizzano l’occhio al leader di Voluntad Popular e dall’altro predicano calma e cautela. La situazione si riflette anche sul Venezuela stesso dove Maduro chiama l’Italia a non lasciarsi trasportare dall’imperialismo statunitense e dove lo stesso Guaidò cerca a gran voce il riconoscimento dei “fratelli italiani”. Sicuramente, l’indecisione non fa che indebolire il nostro peso internazionale e nel contempo fa registrare un punto a favore del chavista.

Le ingerenze internazionali fanno presagire degli interessi molto forti in ballo per il semplice fatto che la crisi politica ed economica del Paese sudamericano ha radici antiche e lontane e mai nessuno ha manifestato un qualsivoglia interesse “umanitario”. Perché ora, tutto d’un tratto, i leader di mezzo mondo hanno messo gli occhi sul Venezuela?

Prima di tirare conclusioni affrettate, fuorvianti e prive di cognizione di causa, bisognerebbe analizzare la situazione venezuelana fatta di petrolio, diritti umani e fallimenti politici ed economici.

Il Venezuela con le sue riserve di petrolio, potenzialmente avrebbe potuto rappresentare il bastione economico del continente sudamericano, più dello stesso Brasile che, tra mille contraddizioni invece rappresenta il Paese economicamente più stabile dell’area (assieme al “mai nominato” Cile). Però, in seguito a capovolgimenti dovuti al crollo del prezzo del petrolio, al fallimento del programma di politica economica, prima di Chàvez e poi di Maduro, il Paese si trova in una situazione di recessione, inflazione e di crisi mai vista prima.

Nel 2013, alla morte del Presidente Hugo Chàvez gli è succeduto il suo braccio destro Nicolàs Maduro che ha caparbiamente continuato la linea politico-economica del suo predecessore (socialismo bolivariano). Il fulcro di questa politica è stata un’economia pianificata basata sulla forte dipendenza dall’esportazione del petrolio. Nessun intervento industriale o infrastrutturale, solo mero sfruttamento dell’oro nero.

I Paesi fortemente dipendenti dal petrolio devono la loro economia alle oscillazioni del prezzo sul mercato. All’inizio, quando il prezzo era ancora elevato, l’economia petrolifera sembrava reggere l’intero peso della macchina industriale venezuelana, però, com’era prevedibile, i reali risultati delle scellerate politiche economiche governative non sono tardati ad arrivare. Nel gennaio 2016 il prezzo del petrolio scese ad appena 26 dollari/barile, provocando un crollo dell’intero castello di carte venezuelano. Il Governo, aveva investito tutti i proventi del petrolio in programmi sociali di assistenza ai più poveri, miranti al rafforzamento del regime e alla lotta alla disuguaglianze sociali che affliggevano il Paese.

La mancata diversificazione delle attività produttive, utili a scacciare le crisi dei singoli settori economici, ha impedito al Venezuela di far fronte alla spaventosa discesa del prezzo del greggio. Al contrario, altri Paesi petrolio-dipendenti come l’Arabia Saudita non hanno risentito di questo crollo a causa delle elevate riserve auree da cui attingere. Il Venezuela, invece, si trovò a combattere con un‘iperinflazione senza precedenti, prima con picchi del 1000%, poi 10.000% e infine, secondo le stime del FMI, entro la fine del 2019 l’inflazione raggiungerà l’ennesimo risultato storico: il milione percento.

Per comprendere la portata dell’evento catastrofico legato all’iperinflazione, basta far riferimento al prezzo di un caffè in Venezuela: se prima della crisi un caffè costava meno di un bolivar (moneta nazionale), nel 2019, con l’inflazione vicino al milione, quel caffè costerà un milione dei “vecchi” bolivar. Resa l’idea?

Politicamente, invece, il Presidente Maduro ha assunto già da subito un atteggiamento contraddittorio nei confronti del Parlamento, grazie alla cosiddetta “Legge Abilitante” la quale consente di emanare leggi senza l’approvazione del Parlamento venezuelano, “l’Assemblea Nazionale”. L’esautoramento dei poteri parlamentari, ovviamente, ha reso la figura di Maduro invisa delle opposizioni, la quale preso il potere all’interno della camera bassa, nel 2015, ha cercato in tutti i modi di opporsi e denunciare i soprusi del Presidente, senza successo però. Nel 2017 Maduro, ha ben pensato di svuotare il parlamento del potere legislativo generando una crisi politica gravissima che, assieme alla crisi economica lacerante, ha gettato il Paese nel caos. Successivamente, non contento, il chavista ha chiamato il popolo a votare una nuova assemblea, denominata “Costituente”. Le elezioni sono state contestate in quanto irregolari, in particolare dalla procuratrice Luisa Ortega Dìaz che, dopo aver promosso un’azione contro il Presidente, è stata destituita dal suo incarico proprio da una votazione all’unanimità della neonata Assemblea Costituente.

Dall’agosto 2017, la Costituente è diventata l’organo governativo con il potere assoluto sulle altre istituzioni, questo provvedimento ha svuotato completamente il ruolo dei parlamentari dell’Assemblea Nazionale. Inoltre, sempre l’Assemblea in mano a Maduro ha proibito a ben tre partiti dell’opposizione di partecipare alle elezioni presidenziali del 2018, accusati di boicottaggio. Manco a farlo apposta, tra i tre partiti figura proprio Voluntad Popular di Juan Guaidò.

Tenendo presente il guado economico venezuelano, il Paese è sull’orlo del collasso: la classe media ha cessato di esistere da un pezzo, il Governo ha razionato il cibo che distribuisce alla popolazione radunata in lunghissime file di persone. Sembra uno scenario di guerra, quella che comodamente coloro che emettono giudizi senza cognizione di causa guardano alla TVLa fame spinge letteralmente le persone ad uccidersi per un pezzo di pane o un sacco di farina. Le favelas sono in mano a bande armate che sostituendosi al Governo, decidono sulla sorte di milioni di persone. La macchina statale è ormai un mero ricordo di un Paese civile, poiché anche i dipendenti statali soffrono la fame e vedono decurtarsi il loro stipendio. Le uniche cose che il Presidente Maduro riesce a tenere sotto controllo sono l’Assemblea Costituente e le forze armate.

Le stime economiche, catastrofiche, farebbero arricciare i capelli anche ai calvi. Si stima un crollo del PIL fino al 19% e l’emigrazione di tanti cittadini venezuelani quest’anno toccherà la soglia dei due milioni. Le risposte anti-crisi del chavista sono state tardive e inutili. Qualche mese fa il Governo decise di emettere una nuova moneta (il bolivar sovrano), dandole il valore di centomila vecchi bolivar. Una manovra utile solo nelle intenzioni: oltre che tardiva, infatti, l’immissione della nuova moneta risultava ancora legata ai risultati del petrolio. Sostanzialmente il tentavo si è rivelato l’ennesimo flop di una mono-economica che sta mettendo a rischio la vita di milioni di persone, tenute sotto scacco da un Governo incapace di garantir loro il perseguimento della felicità, pubblica e privata.

Il fallimento della rivoluzione bolivariana in Venezuela è evidente e il seguito di Guaidò lo dimostra. Si tratta di una sollevazione popolare contro colui, e coloro, che ha portato alla fame milioni di persone. La crisi del Venezuela, ovviamente, non è da additare solamente all’incapacità di Maduro e dei suoi seguaci, ma anche alla ben più grande crisi economica mondiale che sta prosciugando anche le tasche dei Paesi ben più grandi e potenti dello stesso Venezuela (vedi l’Italia). Però, la situazione politica interna ha influito molto. Soprattutto quando all’incapacità si è sostituita la violenza, con l’instaurazione di una dittatura basata sulla repressione del dissenso.

La proclamazione di Juan Guaidò, ha portato i commentatori internazionali a parlare di guerra civile e di pericolose ingerenze internazionali. Tuttavia c’è da ammettere che il Paese sudamericano si trovi già in una guerra civile a causa numerose ribellioni dovute al carovita e soprattutto alla fame. Poi, parlando schiettamente, il popolo non guarda alle ingerenze internazionali ma al tozzo di pane che il Governo gli sta negando per sopravvivere. In questo modo, l’interesse esterno potrebbe rappresentare il solo modo per il Venezuela di scongiurare i dissidi interni, piuttosto che sfociare in un conflitto siriano 2.0. 

Geopoliticamente si potrebbe obiettare che l’interesse internazionale per il Venezuela non è un’interesse umanitario, bensì economico poiché gli Stati Uniti hanno sempre trattato il Sudamerica alla stregua del proprio giardino. Sicuramente il possesso del petrolio venezuelano, gran parte in mano cinese, rappresenterebbe una mossa diplomatica e politica davvero importante e vitale per rimettere il moto la macchina americana, bloccata anche dalla poca simpatia di cui gode Trump in patria. Il Sudamerica è da tempo terreno di conquista da parte della grande Cina che, approfittando del sonno (e non sogno) americano, ha cominciato ad investire diversi miliardi di dollari in opere infrastrutturali tutte aventi il fine preciso di impossessarsi delle risorse energetiche e minerarie di cui il Latinoamerica ne è ricco. In Occidente, invece, la linea europea non è fondata su una politica estera comune, essendone l’Unione sprovvista dalla nascita, ma si affida alla politica estera del Paese che da sempre intrattiene delle relazioni con il Sudamerica, cioè la Spagna. Quest’ultimo, approfittando della situazione favorevole, ha colto l’occasione per riconquistare un po’ di credibilità a livello internazionale. Quale miglior occasione se non investire in un uomo e soprattuto in un Paese dove la Spagna aveva da tempo perso il proprio peso politico?

Però, c’è un grandissimo però. Questo continuo “tira e molla” nella corsa al riconoscimento, nelle ingerenze internazionali quant’altro ha un minimo comune denominatore che sta morendo di fame: il popolo. Il popolo, come detto nei precedenti paragrafi, non guarda alla situazione internazionale. Dunque, se un Presidente ha ridotto alla fame un’intera Nazione, instaurando una dittatura con la repressione, è giusto che venga esautorato dei suoi poteri.

Quindi, al di là del sospetti, fondati o meno, del Movimento Cinque Stelle, la proclamazione di Guaidò dovrebbe essere guardata con simpatia (e cautela), perché mirante all’instaurazione di una democrazia necessaria in un Paese allo sfascio dove milioni di persone rivendicano cibo e libertà, due cose che non dovrebbero mai mancare in nessun posto e per nessuna ragione.

La democrazia, quindi, rappresenta l’unico rimedio politico, economico ma soprattutto umano per uscire da questa situazione.

 

Un abbraccio alla popolazione del Venezuela e alla comunità italiana ivi presente.

Donatello D’Andrea