Manovra, Consulta: “Rispettare la democrazia rappresentativa”

Tabellone elettronico della Camera con risultato del voto di fiducia sulla legge di Bilancio. Manovra
Tabellone elettronico della Camera con risultato del voto di fiducia sulla legge di Bilancio, Roma 7 dicembre 2018. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – La legge che contiene il bilancio dello Stato non potrà più essere approvata, come è avvenuto per l’ultima manovra, con accelerazioni “anomale” che non consentano al Parlamento, nel rispetto dei principi della democrazia rappresentativa, di esaminarne nel dettaglio i contenuti finali. La Corte Costituzionale, che in questo caso ha respinto il ricorso presentato da 37 senatori Pd sull’iter di approvazione della legge, lo ha messo nero su bianco nelle motivazioni della sentenza: “In altre situazioni – si legge nell’ordinanza redatta dalla giudice Marta Cartabia – una simile compressione della funzione costituzionale dei parlamentari potrebbe portare a esiti differenti”.

Anche perché, viene chiarito, il parlamentare ha un’arma precisa per tutelarsi: il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di fronte alla Corte costituzionale. La sentenza chiarisce i contorni di quest’ultimo aspetto: il singolo parlamentare è titolare di una serie di prerogative costituzionali distinte da quelle che gli spettano in quanto componente dell’Assemblea – quali il diritto di parola, di proposta e di voto – che può esercitare in modo autonomo e indipendente e che può tutelare davanti alla Consulta appunto con lo strumento del conflitto di attribuzioni.

Come già era emerso il 10 gennaio, quando si tenne la camera di consiglio, nel caso specifico il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché “non emerge un abuso del procedimento legislativo tale da determinare quelle violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari”, che costituiscono requisito di ammissibilità di conflitti di questo tipo.

E d’altra parte non si poteva far ‘saltare’ la manovra già approvata: neppure i ricorrenti puntavano a questo. Le forzature, però, ci sono state e hanno determinato una grave compressione del dibattito in Commissione e nell’Aula del Senato, aggravando ulteriormente gli aspetti già problematici della pluridecennale prassi dei maxi-emendamenti approvati con voto di fiducia, rileva la Corte, evidenziando per contro che l’andamento dei lavori è stato condizionato anche dalla lunga interlocuzione con la Ue.

Il maxi-emendamento, inoltre, costituiva in parte il frutto dei lavori parlamentari svoltisi fino a quel momento. La tutela della democrazia rappresentativa, però, impone che il ruolo riservato dalla Costituzione al Parlamento nel procedimento di formazione delle leggi sia osservato non solo formalmente, ma nel significato sostanziale.