Musei, la 500 entra al MoMA: “Design democratico”

La 500 di color beige in esibizione al MoMA:
La 500 entra al MoMA: in esibizione fino 27 maggio. ANSA/ ALESSANDRA BALDINI

NEW YORK. – La 500 entra al MoMA: l’utilitaria “da città” della Fiat, nel classico color caffellatte (alzi la mano il baby-boomer che non l’ha posseduta, amata o quanto meno guidata), è il pezzo forte della mostra “The Value of Good Design” aperta nel fine settimana e fino al 27 maggio, poco prima della chiusura per quattro mesi del museo newyorchese per la volata finale del progetto di ristrutturazione.

L’auto in mostra, targata Ferrara 249350, è del 1968: un dono di FCA Heritage. La macchinina col motore a trazione posteriore disegnata da Dante Giacosa “contribuì a rendere la proprietà dell’auto accessibile a un pubblico italiano che stava attraversando un drammatico miglioramento delle sue condizioni economiche”, si legge nella didascalia che accompagna il video Fiat all’insegna dell’ottimismo del boom che sua volta fa compagnia alla 500 in mostra.

Costruendo sul successo della “sua” 600, Giacosa massimizzò lo spazio interno minimizzando al tempo stesso i costi per i materiali e per la complessa meccanica. Nel 1965 la 500 fu ridisegnata per eliminare le cosiddette “porte a vento”, in inglese “suicide doors”: quel modello divenne un bestseller e rimase in produzione fino al 1973.

In principio non c’era Ikea, ma il design per le masse esisteva da tempo. La mostra del MoMA esplora il potenziale di democratizzazione di oggetti belli e al tempo stesso funzionali e a costi contenuti costruendo su quanto lo stesso museo fece dalla fine degli anni ’30 agli anni ’50 con le iniziative “Good Design” sotto cinque dollari: mostre prenatalizie del museo che servivano come “consigli per gli acquisti” ideate dal direttore di allora Alfred Barr.

Alcuni di questi oggetti, come la caffettiera Chemex, sono ancora in produzione e il negozio del MoMA le vende per 130 dollari. La mostra solleva anche interrogativi su cosa sia oggi Good Design e se valori della metà del secolo scorso possano essere tradotti e ridefiniti per un pubblico contemporaneo. I visitatori sono invitati a provare esemplari ancora in produzione e ad esplorare come, attraverso i suoi negozi, il MoMa continui ad essere incubatore di prodotti e idee in un mercato internazionale.

Ma torniamo alla mostra che, con il sostegno della Marella and Giovanni Agnelli Fund for Exhibitions, ha tanti pezzi italiani, alcuni inattesi: oltre ai tessuti disegnati da Bruno Munari e Ettore Sottsass, la Lexicon 80 Olivetti e l’aspirapolvere di Achille Castiglioni, c’è un secchio con coperchio di polietilene e metallo di Gino Colombini per Kartell (un dono di Philip Johnson): mentre negli Usa Tuppenware diventava popolare, Kartell in Italia si stava affermando come leader del settore della plastica. Colombini, a capo del dipartimento tecnico Kartell, creò oggetti comuni di uso domestico approfittando delle possibilità estetiche dei nuovi materiali.

(di Alessandra Baldini/ANSA)

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