Bernie Sanders ci riprova: “Mi candido e batto Trump”

Supporters del candidato Sen. Bernie Sanders nella campagna del 2016.
Supporters del candidato Sen. Bernie Sanders nella campagna del 2016.(Danielle Peterson/Statesman-Journal via AP)

WASHINGTON. – Il ‘vecchio’ Bernie Sanders, come lo chiamano affettuosamente gli amici e maliziosamente i detrattori, ci riprova. A 77 anni il senatore ‘socialista’, come lui stesso ama definirsi, ha annunciato che correrà di nuovo per la Casa Bianca per finire quello che ha iniziato nel 2016, quando il suo sogno condiviso da milioni di americani e milioni di giovani si infranse contro lo strapotere di Hillary Clinton, appoggiata dall’establishment del partito democratico.

Ma dopo la sua entusiasmante campagna di tre anni fa e la sconfitta della ex first lady per mano di Donald Trump nulla è più uguale a prima. La ‘rivoluzione della politica’ invocata dal senatore è andata avanti e l’ala più radicale e progressista dello schieramento dem ha oramai un peso e un seguito difficile da snobbare o sottovalutare.

Come del resto hanno insegnato le elezioni di metà mandato del novembre scorso, con il trionfo di tanti giovani eredi di Sanders a partire dall’astro nascente della sinistra americana Alexandra Ocasio-Cortez, newyorchese come il suo padrino politico. Sanders è nato a Brooklyn, ma è il Vermont la sua patria adottiva, dove ha passato una gioventù tra le comunità hippie e si è distinto come attivista nella lotta per i diritti civili prima di essere eletto senatore nel 2006.

Nell’annunciare la sua nuova discesa in campo, unendosi alla fitta schiera di candidati democratici che si sfideranno nelle primarie, ha lanciato un messaggio chiaro: io sono l’unico che può davvero battere Donald Trump. E Sanders non usa mezzi termini nel definire l’attuale presidente razzista, xenofobo, bugiardo seriale e sessista. Un presidente – sottolinea – “che imbarazza e divide il nostro Paese”.

Un presidente che teme il mondo rappresentato dal senatore del Vermont e da giovani come Ocasio-Cortez, tanto che nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione ha promesso come “l’America non sarà mai un Paese socialista”. Così l’agenda progressista di Sanders, paladino della working class e fiero critico di Wall Street, se per molti democratici e repubblicani viene considerata populista ed estremista, per il tycoon rappresenta una vera e propria minaccia.

I sui cardini sono l’assistenza sanitaria garantita a tutti gli anziani, l’aumento del salario minimo ad almeno 15 dollari l’ora, l’università pubblica gratuita, più tasse sui ricchi e sulle multinazionali, ‘prezzo politico’ per i farmaci e lotta senza quartiere ai cambiamenti climatici.

“Questo è il socialismo, non vogliamo diventare il Venezuela o Cuba”, assicura il senatore. Tra le fila dei candidati dem per il 2020 a temere di più per la discesa in campo di Sanders è senza dubbio Elizabeth Warren che in gran parte ha la stessa agenda del senatore ma indubbiamente non lo stesso carisma e la stessa capacità di mobilitare anche i più giovani. Non a caso è distaccata nei sondaggi, che vedono Sanders in testa a tutti gli altri dem in corsa.

Solo la discesa in campo dell’ex vicepresidente Joe Biden gli toglierebbe questo primato. Mentre per gli altri candidati, da Kamala Harris a Cory Booker passando per la prevista candidatura di Beto O’Rourke, la speranza è che tra tanti settantenni e ultrasettantenni dalla loro parte ci sia un vantaggio legato anche al fattore generazionale.

Intanto mentre Sanders accusa Trump di razzismo è polemica in Alabama dove il direttore del quotidiano locale Democrat-Reporter ha rivelato di essere l’autore di un editoriale che invoca il ritorno del Klu Klux Klan “per un linciaggio di massa dei democratici, colpevoli di aumentare le tasse nello Stato”. “E’ tempo per il KKK di andare nuovamente in giro di notte nuovamente”, è il titolo dell’articolo shock.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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