Accademia Francia cede, nomi dei mestieri anche femminili

Il palazzo sede dell'Accademia di Francia a Parigi.
Il palazzo sede dell'Accademia di Francia a Parigi. (foto iStock)

PARIGI. – Anche gli “immortali” cambiano idea. E nel 2019, poche ore dopo la presentazione di un rapporto che segna un’epoca, l’Accademia di Francia ha voltato pagina: alcune parole della lingua sulla quale l’augusta istituzione detta legge potranno essere declinate al femminile con un significato che fa onore alla parità di genere. Quello che ormai nella società è acquisito – la “presidente” non è necessariamente la moglie del presidente così come l'”ambassadrice” è la titolare della sede diplomatica e non la consorte dell’ambasciatore – era ancora tabù per il dizionario accademico.

Ecco il momento della svolta: lo storico Gabriel de Broglie, 87 anni, capo della commissione incaricata di redigere il rivoluzionario rapporto, ha consegnato il frutto del lavoro portato a termine con la romanziera e saggista Daniele Sallenave, con il poeta di origine britannica Michael Edwards e con la scrittrice e biografa Dominique Bona. “Non esiste nessun ostacolo di principio” alla femminilizzazione dei nomi di mestieri e professioni, hanno statuito a tempo di record gli accademici, approvando “a larga maggioranza”.

Mai era stato accettato di declinare al femminile i nomi di mestieri e professioni nella prestigiosa istituzione fondata nel XVII secolo dal cardinal Richelieu: “Quanto ai nomi di mestieri – ha statuito l”Académie’ – consideriamo che tutte le evoluzioni miranti a far riconoscere nella lingua il posto oggi riconosciuto alle donne nella società possano essere ammesse”.

Nessuna “lista” di nomi con relativo corrispondente femminile, né “regole per la femminilizzazione” dei nomi di mestieri saranno redatte dall’Accademia, che reputa questo compito come “insormontabile”: “Conviene lasciare alle pratiche che assicurano la vitalità della lingua il compito di decidere” fanno sapere gli Immortali, abdicando in qualche modo al fin qui rigidissimo rituale dell’imposizione di regole strette sull’uso delle parole. Unica norma dettata espressamente, quella che impone alle forme che terminano in “eure” come professeure (femminile di professeur) è che la e finale sia muta.

Qualche sopracciglio si è alzato quando è stato menzionato nell’alto consesso il femminile di “chef” (“cheffe”): “Se non si può affermare che questa forma faccia parte del ‘buon uso’ della lingua – se la sono cavata gli accademici – sembra peraltro difficile metterla all’indice in modo assoluto, vista l’alta incidenza nella sua utilizzazione che la commissione ha potuto appurare consultando le fonti”.

A convincere gli “immortali” è stato un passaggio chiave del rapporto: “Se i francesi decidessero di portare una donna alla presidenza della Repubblica, sembra difficile immaginare un motivo per opporsi all’uso della forma femminile ‘presidente’. E si può egualmente supporre che ‘première ministre’ si imporrebbe altrettanto facilmente in francese che ‘cancelliera’” in Germania.

Soltanto cinque anni fa, l’istituzione aveva “respinto” uno “spirito di sistema che tende a imporre, talvolta contro il volere degli interessati, forme come ‘professeure’, ‘recteure’, ingenieure, procureure… che sono contrarie alle regole ordinarie di derivazione e costituiscono vere barbarie”.

(di Tullio Giannotti/ANSA)

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