Usa in pressing sull’Italia sulla Via della Seta cinese

Un uomo nella galleria di scritte che illustrano il "One Belt One Road", la nuova via della seta.
Un uomo nella galleria di scritte che illustrano il "One Belt One Road", la nuova via della seta. (ANSA/AP Photo/Andy Wong, File)

ROMA. – Gli Stati Uniti insistono nel pressing sull’Italia, che potrebbe fare da apripista alla Nuova Via della Seta cinese in Europa: deve vigilare sulla “trasparenza”, altrimenti rischia di “danneggiare la sua reputazione”. Con gli americani “non ci sono problemi”, ha assicurato Matteo Salvini, come a rimarcare che la fedeltà atlantica non è in discussione. E per allontanare le voci di un governo diviso sul da farsi, evocate dal Financial Times.

L’Italia si è candidata a diventare il primo paese del G7 a sottoscrivere il maxi-accordo economico con Pechino: un piano ambizioso per connettere via terra e mare l’Asia all’Europa e all’Africa attraverso una rete di collegamenti infrastrutturali. Fumo negli occhi per Washington, che vede il suo rivale numero uno costruire un’autostrada per i suoi commerci ed i suoi prodotti, con metodi giudicati opachi.

Lo ha detto a chiare lettere il portavoce del consiglio per la sicurezza americana Garrett Marquis, che ha “invitato tutti gli alleati, inclusa l’Italia, a fare pressione sulla Cina perché porti i suoi sforzi di investimenti globali in linea con gli standard internazionali accettati e con le pratiche migliori”. Che tradotto vuol dire, tra le altre cose: sana gestione finanziaria, tutela dell’ambiente, rispetto dei diritti umani. Per non parlare dei rischi di spionaggio, se Pechino mantenesse il controllo tramite le sue aziende delle nuove reti di comunicazione 5G nel mercato europeo.

Anche il Financial Times ha dedicato l’apertura della sua versione europea al caso Italia, riferendo che “il rimprovero Usa ha scatenato le divisioni a Roma sulle aperture agli investimenti cinesi”. La bibbia della comunità finanziaria ha ricordato che era stato il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci ad annunciare che l’Italia avrebbe firmato il memorandum con la Cina. Ma dopo la reazione della Casa Bianca, Guglielmo Picchi, sottosegretario leghista alla Farnesina, “ha chiesto un’ulteriore riflessione nel governo”.

L’orientamento a Roma, in effetti, sarebbe quello di soprassedere, rinunciando a firmare l’accordo in occasione della visita del presidente Xi Jinping, a fine marzo. Lo ha lasciato intendere il leader leghista, Matteo Salvini, chiarendo che “non c’è nessun problema” con gli americani su questo dossier. Anche i 5 Stelle, nonostante l’entusiasmo iniziale (Luigi Di Maio è stato di recente in Cina), sarebbero favorevoli ad un rinvio. Per evitare di inimicarsi gli Stati Uniti e per non restare isolati nell’Ue, in una fase in cui ci sono problemi ben più urgenti da risolvere, come la Tav.

Pechino, evidentemente, non ci sta. “Gli Stati Uniti sono irritati dall’imminente cooperazione tra il suo alleato di lungo periodo e un Paese che vogliono contenere”, si legge in un duro editoriale sul Global Times, costola del Quotidiano del Popolo e voce del Partito Comunista. In cui si sottolinea che l’Italia avrà tutto da guadagnare dalla Via della Seta, perché i suoi prodotti avranno “un maggiore accesso al mercato cinese in rapida crescita, che darà una spinta alla sua economia fiacca”.

Rilancio dell’export a parte, non sono pochi a sottolineare che diventare la porta della Cina in Europa avrebbe una contropartita salata. Uno dei nodi è il porto di Trieste, che si teme possa essere di fatto colonizzato come è già successo per il Pireo. Il sindaco Roberto Dipiazza per ora ha frenato gli allarmi, rilevando che gli investimenti cinesi sarebbero “un’opportunità per la città”. Anche se, ha ammesso, il tema di fondo esiste: ossia “se far arrivare o no i cinesi al centro dell’Europa”.

(di Luca Mirone/ANSA)