La sfida di Zingaretti: restituire un’anima al centrosinistra

Il lavoro del nuovo Segretario del PD, Nicola Zingaretti, è appena cominciato: restituire al partito la sua "anima". FOTO PANORAMA

Le primarie del PD hanno un vincitore, il suo nome è Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio e politico di professione da più di trent’anni. Un buon curriculum per un partito che, per rinascere, ha bisogno di un uomo d’esperienza. Inoltre, i dati parlano chiaro: un’affluenza molto alta, quasi 1,7 milioni di partecipanti, e un consenso che si aggira attorno al 70%. Un plebiscito che ha lasciato pochi margini di manovra agli altri due “leader” sfidanti, Martina e Giachetti.

I primi “auguri di buon lavoro” sono arrivati da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, la vecchia guardia del morente Partito Democratico, i quali hanno colto l’occasione per fare un appello all’intera sinistra: “basta fuoco amico, uniti contro questo Governo”. Un vero e proprio grido di battaglia per le prossime sfide che vedranno impegnato Zingaretti in prima persona, a partire dalle regionali di Basilicata, dove il centrosinistra uscente si trova con l’acqua alla gola, per finire con le Elezioni Europee dove il PD dovrà necessariamente combattere per evitare l’imbarcata sovranista. La palla, ovviamente, passerà all’elettorato in entrambi i casi che, democraticamente, deciderà le sorti di quello che una volta fu il partito degli operai.

Contemporaneamente, però, il nuovo Segretario deve fare i conti con una realtà partitica frammentata. Il Partito Democratico, a causa della decennale scellerata gestione culminata con le spaccature renziane, è da tempo ridotto ad un democristiano colabrodo.  Ad esempio, i due capigruppo in Parlamento, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, gestori dell’equilibrio parlamentare di centrosinistra sono schierati con l’ex Segretario reggente, Maurizio Martina. Sicuramente il richiamo all’unità farà convergere gli equilibri verso il nuovo leader, però non è sicuro che questo accadrà al Senato, dove le resistenze saranno maggiori.

E’ vero però che l’opposizione al Governo Conte richiede, all’interno del centrosinistra, dei toni obbligatoriamente conciliatori.

D’altro canto la sconfitta dei renziani è stata macroscopica e non può essere nascosta. Il plebiscito con cui Zingaretti ha fatto saltare il banco è il fulgido esempio del fallimento politico dell’ex sindaco di Firenze. La sua figura, ormai, non è più spendibile sui grandi palcoscenici e il cambio di passo, scandito dalla vittoria del Presidente della Regione Lazio, eliminerà sicuramente ogni singola traccia lasciata dall’ex Premier.

I toni conciliatori degli altri leader del centrosinistra italiano, poi, fanno presagire che la scissione del partito non sembra una via praticabile. Scalfarotto, Boschi e gli altri azionisti non sembrano intenzionati a concorrere senza la madrepatria, in un’improbabile nuova formazione politica di stampo progressista. La scarsa considerazione di cui godono, dal punto di vista dell’influenza politica, non gioverebbe ai loro progetti secessionisti. Tocca “fare buon viso a cattivo gioco”.

Oltre ai problemi interni, causati dalla miriade di correnti presenti, all’orizzonte si ergono nuove sfide per il nuovo PD targato Zingaretti. Recuperare l’elettorato perduto è cruciale per proseguire la lotta contro il governo giallo-verde, considerato populista e quindi pericoloso per la sopravvivenza dell’Italia (e del PD). La fuga dal partito, inaugurata il 4 Marzo, ha visto la formazione scendere per la prima volta sotto il 20% in favore dei partiti dichiaratamente anti-sistema (a parole e non a fatti) come il Movimento Cinque Stelle e la Lega (non più nord) salviniana. Proporre politiche nuove, di sinistra, e recuperare la ragione sociale ereditata dal Partito Comunista, potrebbero essere le scelte giuste da operare per curare l’emorragia elettorale di cui il centrosinistra incredibilmente soffre.

Mettere da parte “il bastone” e proporre politiche nuove; le due prime sfide ereditate dal nuovo Segretario del Partito Democratico paiono di difficile risoluzione. 
I numeri, però, sono dalla parte di Zingaretti. Le primarie, come anticipato, hanno dimostrato che il nuovo Segretario gode della legittimazione necessaria per operare sul campo. Un campo difficile, viste le sfide elettorali che si presentano: la Basilicata e l‘Europa. La prima a differenza della seconda sembrerebbe una passeggiata, ma così non è.

Il centrosinistra lucano, ridotto ai minimi termini a causa della scellerata gestione pittelliana culminata con il suo arresto, si presenta diviso e preoccupato. La candidatura di un moderno homo novus, apparentemente senza implicazioni partitiche in prima persona, potrebbe non bastare senza una contemporanea pulizia alla base. La scarsa partecipazione alle primarie, solo 17mila elettori contro i 41mila del 2013, è un dato preoccupante.

In Europa, invece, la crisi dei partiti tradizionali (PPE e PSE) e l’avanzata dei populisti/sovranisti ha messo in pericolo la stabilità dell’ancien régime europeo, di cui il PD fa parte.

Dettare una linea comune non sarà facile. Zingaretti dovrà essere bravo nell’affermare la sua leadership contro tutti i dissidenti, a cominciare dall’Assemblea Nazionale del PD, che si terrà il 17 marzo. In quest’occasione si eleggerà la Direzione del partito, composta sulla base dei risultati delle primarie. Il neo Segretario dovrà indicare i componenti della sua quota scegliendoli tra le varie aree che lo hanno sostenuto. Inoltre, dovrà essere indicato anche il nome del Tesoriere e quelli della Commissione di garanzia. Resta poi da sciogliere anche il nodo dei capigruppo all’interno del Parlamento. Delrio e Marcucci appoggiavano Martina e Zingaretti dovrà valutare se i due potranno ancora mantenere il ruolo assegnatogli dal precedente Segretario.

Impellente, però, è la situazione europea. La lunga crisi di consensi del PSE vede impegnato Zingaretti su diversi fronti: da un lato recuperare un pò di consenso per non sprofondare, dall’altro diventa cruciale la scelta dei candidati e delle alleanze internazionali. Stando alle ultime dichiarazioni il nuovo PD sembrerebbe spingere verso un’alleanza anti-sovranista capeggiata da Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese. D’altro canto, il leader di En Marche negli ultimi tempi si è dimostrato un fervido sostenitore della causa europeista contro il dilagare delle istanze nazionaliste continentali.

Sul fronte interno, invece, la riconquista del consenso e della credibilità dovrebbe puntare sul costruire un’opposizione consapevole e non come la precedente, inconsistente e senza una linea ben precisa. La prima destinazione del nuovo Segretario è, in questo senso, emblematica: Torino, TAV. La scelta di Zingaretti sembrerebbe quella di puntare sull’indebolimento di uno dei due partiti di governo e, vista l’inarrestabile scalata al potere di Matteo Salvini, il Segretario ha preferito virare contro il Movimento Cinque Stelle, alle prese con una riorganizzazione massiccia dopo le batoste elettorali in Abruzzo e Sardegna.

Nessuno è capace di prevedere se la ricostruzione del Partito Democratico raggiungerà i risultati sperati. E’ molto difficile recuperare la credibilità e l’elettorato perduti a causa dei deliri renziani che, sommati all’incapacità decennale dei leader susseguitisi nel corso dell’era berlusconiana, hanno portato il PD sotto la soglia di sopravvivenza. Dopo il 4 Marzo e soprattutto dopo la formazione del nuovo governo, i parlamentari di centrosinistra hanno solamente starnazzato soluzioni a destra e a manca senza seguire un filo logico sia sul piano dell’immigrazione che su quello economico, dimenticando che parte delle responsabilità dell’attuale situazione economico-sociale è anche loro.

Zingaretti avrà molto lavoro da fare, se davvero vorrà tirare fuori il PD dai pasticci. Urge una riorganizzazione che riformi la base del partito (vero punto debole del centrosinistra), troppo lontana dagli elettori e da coloro i quali si sentivano rappresentati da chi si proclamava difensore degli interessi degli operai. Urge un “fare opposizione” giusto e consapevole e non per “partito preso”. In poche parole urge serietà. Pena la cancellazione definitiva dallo scenario politico italiano e internazionale

La segreteria del partito non deve essere l’altare sacrificale su cui si susseguono i vari leader del centrosinistra, una sorta di cimitero della leadership, ma un punto di partenza per tentare la ricostruzione di ciò che manca davvero all’Italia: una sinistra forte e determinata in grado di sostenere le proposte governative miranti al benessere dei cittadini e di criticare aspramente quelle che vanno contro gli interessi degli italiani.

A Nicola Zingaretti l’onere di restituire al Partito Democratico la propria raison d’être.

Donatello D’Andrea