Si inverte la curva rendimenti Usa. Borse tremano con Ue

Interno del salone delle aste a Wall Street. Borse
Interno del salone delle aste a Wall Street.

NEW YORK. – La curva dei rendimenti dei titoli di stato americani si inverte per la prima volta dall’agosto del 2007. E la paura di una recessione, o almeno un rallentamento, affonda le piazze finanziarie europee e americane, già pesanti con il susseguirsi di dati macroeconomici deludenti. Mario Draghi cerca di stemperare i timori. Davanti al Parlamento Europeo parla di una debolezza protratta e di una incertezza pervasiva: al momento – dice – la probabilità di una recessione è ancora bassa.

Parole che non rassicurano alla luce delle indicazioni che arrivano dall’economia. L’indice PMI dell’area euro cala ai minimi da sei anni innescando la corsa ai Bund a 10 anni, i cui rendimenti scendono in territorio negativo per la prima volta dal 2016. Gli investitori vedono nel debito tedesco un bene rifugio fra i crescenti segnali di raffreddamento dell’economia di Eurolandia e i toni da colomba usati dalle banche centrali.

Ne pagano le conseguenze le borse europee, tutte in profondo rosso. Londra e Parigi chiudono con cali del 2%. Piazza Affari perde l’1,38% appesantita dalle banche che risentono del balzo dello spread a 250, anche se poi ha chiuso a 246. Unicredit chiude in calo del 4,53%, Ubi perde il 4,48%, Intesa Sanpaolo il 2,64% e Banco Bpm del 4,35%.

Non va meglio a Wall Street, in rosso fin dall’avvio di seduta sulla scia dell’Europa. E la contrazione del PMI americano, che in febbraio perde lo 0,5% avvicinandosi ai minimi degli ultimi due anni, non aiuta. Con la flessione i listini americani infatti accentuano le perdite spaventati da dati che sembrano confermare una frenata dell’economia, certificata già dalla Fed con la decisione di congelare i rialzi dei tassi di interesse per il 2019.

La gelata arriva poi con l’inversione della curva dei rendimenti: per la prima volta dall’agosto 2007, ovvero poco prima della crisi finanziari a e della Grande recessione, i titoli a 3 mesi superano quelli a 10 anni, scesi ai minimi da 14 mesi al 2,416%. L’inversione è considerata un indicatore di una possibile recessione in 18 mesi. “L’economia globale è chiaramente divenuta un problema” affermano gli analisti, sottolineando come le maggiori debolezze si riscontrano al momento in Europa e in Cina.

L’inversione della curva dei rendimenti “è un chiaro segnale che il mercato è preoccupato dalla crescita e si sta spostando verso i Treasury, scaricando gli asset più rischiosi” aggiungono. La domanda di titoli di stato è sostenuta da giorni, da quando la Fed ha rivisto al ribasso le prospettive di crescita americane e le sue attese sull’andamento dei tassi di interesse, congelando i rialzi per l’intero 2019. Toni da colomba che hanno spinto gli investitori a ipotizzare un possibile taglio dei tassi entro il 2020: al momento una riduzione già quest’anno è data al 50%.

Può ritenersi soddisfatto della pausa della Fed il presidente Donald Trump, convinto che se la Fed non avesse optato per una serie di rialzi l’economia sarebbe cresciuta del ”4% nel 2018 invece che del 3,1%”. Per cercare di assicurare che la Fed non cambi idea e quindi non abbracci nuovamente una serie di strette, Trump nomina al board della banca centrale Stephen Moore, l’ex consigliere della sua campagna elettorale ed economista conservatore promotore di tassi bassi.

(di Serena Di Ronza/ANSA)

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