Governo indagato su Sea Watch. Scontro M5s e Lega sui porti

Migranti affacciati al parapetto della Sea Watch.
Migranti affacciati al parapetto della Sea Watch. (ANSA)

ROMA. – Tutti indagati. Su Giuseppe Conte, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli pende l’accusa di sequestro di persona nell’inchiesta sulla Sea Watch. La procura di Palermo ha chiesto l’archiviazione: entro 90 giorni il tribunale dei ministri deciderà se accoglierla o meno. Ma dopo il caso Diciotti, la politica migratoria del governo torna sul banco degli imputati.

Con una differenza, rispetto ai mesi scorsi: in piena campagna elettorale, M5s e Lega litigano furiosamente sulla linea salviniana dei porti chiusi. Luigi Di Maio chiede di aprirli. Matteo Salvini risponde no: “Sui confini decido io, pensi alle crisi aziendali irrisolte”. Se la frattura arrivasse in Consiglio dei ministri, il governo vacillerebbe. A rendere la situazione potenzialmente esplosiva, c’è la crisi libica. Giuseppe Conte, in una dichiarazione a Palazzo Chigi, ammonisce i suoi vice: “Non è il momento di dividerci”.

Il rischio di un’emergenza umanitaria “devastante” c’è, avverte il premier: migliaia di uomini e donne potrebbero partire verso l’Italia. Il presidente del Consiglio sottolinea di essere al lavoro per evitare l’escalation militare e trovare una soluzione diplomatica a Tripoli. Anche per questo, osservano a Palazzo Chigi, non c’è bisogno ora di proclami dissonanti. E soprattutto se poi esplodesse davvero la crisi umanitaria, l’Italia – questa la convinzione Conte – dovrebbe assumersi le sue responsabilità, naturalmente insieme all’Europa.

Tradotto in parole povere: non si possono tenere i porti chiusi a chi scappa dalla guerra, tanto più che è palese che le coste libiche non sono “sicure”. Ma proprio su questo si litiga nel governo. La miccia l’accende Di Maio, quando dichiara che “chiudere un porto è una misura occasionale”. Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta rafforza il concetto: “In caso di una nuova guerra non avremmo migranti ma rifugiati. E i rifugiati si accolgono”.

Ma Salvini, che descrivono irritato, non ci sta. L’inversione a “U” del M5s che sconfessa la linea tenuta fino ad oggi sui migranti – sono convinti nella Lega – è dettata da pure ragioni elettorali. “Gli italiani chiedono porti chiusi”, non si stanca di ripetere, per tutta risposta, Salvini. Si rischia la crisi di governo sul tema dei porti?, domandano a Salvini. “Non lo so”, replica lui. Aggiunge che il blocco degli sbarchi consente oggi all’Italia di poter “fronteggiare qualsiasi emergenza” venga dalla Libia. Ma poi a Di Maio rinfaccia le tante crisi aziendali irrisolte sul suo tavolo e al ministro Trenta ribatte che “i porti italiani restano chiusi, chiunque parta dalla Libia non può essere ritenuto un rifugiato, non con me ministro dell’interno”.

“Gli spiego un po’ di diritto internazionale” che impone di accogliere, ribatte la titolare della Difesa, invitando il collega a moderare i toni sulla Libia. Il leader M5s rincara: “Sono gli alleati della Lega, Orban in Ungheria, Afd in Germania, Le Pen in Francia, a dover aprire i porti: fanno i sovranisti con le frontiere italiane”. All’atto pratico, quando il primo caso ‘libico’ si porrà, una sintesi nel governo si annuncia tutt’altro che facile.

Ma intanto la materia è incandescente e preziosa, nella campagna per le europee. Tanto che quando Salvini annuncia di essere indagato per il caso Sea Watch, Di Maio risponde beffardo dal Qatar: “Anche io sono indagato, ma non mi sento Napoleone”. Starà adesso al tribunale dei ministri se archiviare le posizioni del premier, dei suoi vice e di Toninelli. Ma se il caso arriverà alle Camere, potrebbe diventare un altro dossier scottante: i ministri Cinque stelle chiederebbero di essere processati?, ci si chiede in Parlamento. Di sicuro, sono convinti in casa leghista, Sea Watch è il primo caso ma non sarà neanche l’ultimo.

(di Serenella Mattera/ANSA)