“Nessuna collusione”, ma Mueller non scagiona Trump

Un primo piano del procuratore generale Robert Mueller durante il giuramento.
Il procuratore generale Robert Mueller

NEW YORK. – La Russia ha interferito nelle elezioni del 2016 ma non c’è stata alcuna collusione con Donald Trump e la sua campagna. Nessuna conclusione definitiva invece sulla possibile ostruzione alla giustizia da parte del presidente: nonostante le indagini su 10 potenziali episodi, non sono state rinvenute prove sufficienti per inchiodare il tycoon. Dopo due anni di attesa, il rapporto di Robert Mueller sul Russiagate è finalmente pubblico e le sue conclusioni sono state salutate dal presidente americano come una “vittoria totale”.

“Game Over”, ha twittato Trump postando una foto ispirata alla serie il Trono di Spade. Ma il quadro dipinto da Mueller – rispetto al sommario di quattro pagine diffuso il mese scorso – non è poi così lusinghiero per il presidente, per il quale i guai potrebbero non essere finiti.

“Se avessimo avuto la certezza che Trump non avesse commesso ostruzione alla giustizia lo avremmo affermato. Ma sulla base dei fatti a disposizione e degli standard legali, non siamo in grado di fare questa valutazione”, afferma il procuratore speciale, sottolineando che il Congresso può ancora determinare se Trump sia responsabile di aver ostacolato il lavoro degli inquirenti.

Parole che i democratici non si sono lasciati sfuggire: guidati dalla speaker della Camera Nancy Pelosi, hanno annunciato battaglia, assicurato che andranno fino in fondo e attaccato compatti William Barr, il ministro delle Giustizia che, sulla base delle conclusioni di Mueller, ha stabilito che Trump non ha ostacolato la giustizia. “E’ chiaro che la conclusione di Barr non è in linea con le osservazioni di Mueller”, hanno ammonito Pelosi e il leader dei democratici in Senato, Chuck Schumer.

I repubblicani invece fanno quadrato intorno al presidente e a Barr, respingendo al mittente le accuse dei liberal liquidandole come “pretestuose”: “Dimostrano di non voler accettare la sconfitta”. Le 448 pagine del rapporto, divise in due volumi incluse le risposte scritte di Trump a Mueller, dipingono un presidente che ha cercato di influenzare le indagini sul Russiagate “per lo più senza successo perché chi lo circondava non ha portato avanti i suoi ordini”.

Un tycoon terrorizzato dalla nomina di Mueller nel 2017: “La mia presidenza è finita”, sbottò all’epoca prima di scagliarsi contro l’ex ministro della Giustizia Jeff Session. E tratteggiano un Trump con la memoria corta: nelle risposte scritte allo staff di Mueller, il presidente ha ribadito in molte occasioni di “non ricordare”.

“Non ricordo che mi sia stato detto durante la campagna elettorale che Vladimir Putin o il governo russo sosteneva la mia candidatura o che si opponeva a quella di Hillary Clinton”, ha scritto Trump. “Non ricordo di aver avuto discussioni su una possibile grazia a Trump”.

La serie di “non ricordo” è lunga, tanto che dal rapporto emerge chiara la frustrazione degli investitori, che tuttavia hanno ritenuto di non inviare un mandato di comparizione a Trump per evitare ritardi. Chiuso il capitolo Mueller, Trump si rilassa a Mar-a-Lago. I democratici invece affilano le armi per quella che, a ragione o a torto, continuano a ritenere la battaglia della vita.

(di Serena Di Ronza/ANSA)