Lazzari: “Nel Comites per tendere una mano amica ai connazionali”

Andrea Lazzari, capolista di "Italiani Democratici a Madrid

MADRID – Andrea Lazzari non ha dimenticato né il suo passato di emigrante né i sacrifici che comporta iniziare altrove una nuova vita. Per questo, a prescindere dalle ragioni che abbiano potuto spingere a lasciare la propria terra per mettere radici in un’altra in cui si parla una lingua diversa e si hanno abitudini differenti, si prodiga, all’interno del Comites, ma anche in seno alle istituzioni imprenditoriali di cui è parte, per aiutare e tendere una mano sia ai connazionali che già vivono in Spagna, sia a quelli che, sempre più numerosi, arrivano con una valigia carica di speranze. In altre parole, non è l’industriale di successo che, una volta raggiunta la tranquillità economica, si adagia sugli allori e dorme i sogni dei beati.

E’ arrivato in Spagna 12 anni fa, quando nel Paese la crisi economica cominciava a fare capolino e inserirsi nel mondo del lavoro era tutt’altro che facile.

– Da buon italiano – spiega alla Voce -, sono arrivato molto spavaldo. Mi ripetevo: “qualcosa sicuramente farò”…

Indugia, forse per frugare tra i ricordi, forse perché tornano alla mente con un po’ di nostalgia i momenti felici e anche le delusioni del passato. Quindi riprende:

– Pensi di sapere un po’ di spagnolo e invece ti rendi conto immediatamente che non è così. Non capisci chi ti parla e non riesci a farti capire. E poi devi affrontare molte difficoltà per avere la documentazione che ti permetta di restare nel Paese o aprire un conto corrente. Sono stati mesi molto, molto duri, veramente duri – confessa -. In Spagna non stavano certo aspettando me. La mia vera fortuna è stata conoscere il settore del “franchising”. Cominciai a collaborare con strutture, società che si muovevano in quest’ambito. Ciò mi ha permesso d’inserirmi nel mondo del lavoro.

Andrea Lazzari con l’Ambasciatore d’Italia in Spagna, Stefano Sannino, e il presidente del Comites, Pietro Mariani

Spiega che la sua sensibilità nei confronti del mondo dell’emigrazione è dovuta proprio al fatto che ha vissuto in carne propria tutte le vicissitudini di chi decide di metter radici in un altro Paese. E’ convinto che “in Europa, e non solo in Europa, tanti passaggi burocratici dovrebbero essere semplificati”.

– Basta pensare che, per dimostrare chi sei – commenta -, in Spagna oltre al NIE è necessario il passaporto o un altro documento. Se sono imprenditore in Italia e arrivo in Spagna, non posso far valere l’esperienza già accumulata – aggiunge. E spiega:

– Ogni volta che decidi di recarti in un nuovo Paese devi ricominciare da zero. E questo non va bene. Sono membro di un’organizzazione che si batte per creare un “documento dell’imprenditore”. Si tratta di “Entreps”. Sono ambasciatore di quest’organismo che promuove, in primo luogo, la creazione di un documento, di un passaporto, che certifichi che sono imprenditore; che attesti quello che io ho fatto nel bene e nel male. In secondo luogo, siamo convinti che nelle scuole ai bambini vada spiegato cosa significhi intraprendere perché altrimenti, alla fine, chi si dedicherà all’imprenditoria sarà solamente il figlio dell’imprenditore. E terzo, poiché ormai nessuno più dà contributi, permettere all’imprenditore che arriva in un altro Paese, di essere esonerato dalla pressione fiscale per almeno due o tre anni.

– La globalizzazione, l’abbattimento delle frontiere, almeno in Europa – commentiamo -, facilita molto il libero flusso di studenti, lavoratori e imprenditori.

– E’ così – conviene -. Oggi, con due o tre ore d’aereo arrivi ovunque in Europa. Non c’è alcuna differenza se sono romano e lavoro a Milano oppure a Londra o a Parigi. Questo dovrebbe essere il concetto. In un mondo globalizzato, non si può non tener conto di questi fattori. E poi con l’internet è sempre più facile avere relazioni internazionali. Siamo permanentemente collegati.

– Parliamo della tua esperienza nell’ambito lavorativo in Spagna, ad esempio del “franchising”…

– Ho due linee d’affari – ci dice subito -. Una è il “franchising” che copro a 360 gradi. Quando una persona conclude una relazione di lavoro, riceve una somma di denaro di fine rapporto. Può contare dunque su una risorsa economica ma, molto probabilmente ha anche un’età che rende difficile ricollocarsi. Cerca quindi di aprire un’attività. Ma intraprendere da soli è sempre più difficile. Con il “franchising” hai la guida di chi ha fatto già tanti errori e ha interesse ad evitare che tu li commetta di nuovo. Se hai successo, se ti va bene, questa guida ha un ritorno economico dalla tua attività. Il “franchising”, in sostanza, è una forma di distribuzione commerciale di un’azienda che ha il suo “saper fare” e che, invece di aprire filiali dirette, cerca un socio. A questi – spiega – passa una serie d’informazioni, di marca, di economie di scala che tracciano i binari da seguire. La mortalità nell’ambito del “franchising” è molto più bassa che non nell’attività tradizionale. Poi assisto imprese che hanno un “saper fare” e vogliono crescere sotto il concetto del “franchising”. In ultimo ci sono gruppi di “franchisor” già operativi che cercano “franchisee”.

Lazzari sostiene che insieme a un socio, gestisce una struttura a Roma che fa da consulente a quegli imprenditori che desiderano aprire un’attività in Spagna.

– Che cosa facciamo per loro? – prosegue – In primo luogo, organizziamo una missione esplorativa che permetta di capire com’è la città nella quale hanno interesse di intraprendere la loro attività. Ad esempio, Madrid, Barcellona, Valencia, tanto per nominare le più conosciute. Poi spieghiamo come funziona la realtà territoriale, come gestire i rapporti con i dipendenti, gli affitti, l’aspetto legale e quello amministrativo e i rapporti con le banche. Una volta che decidono di iniziare, noi seguiamo per loro ogni aspetto: dalla costituzione della società alla ricerca della “location”, dalle licenze alla messa in marcia. Insomma, tutto, dalla A alla Z.

Spiega che la realtà spagnola, può sembrare assai simile a quella italiana, ma presto ci si rende conto che non lo è.

– Ad esempio, c’è molto più rispetto nei rapporti con il dipendente e con la sua famiglia – sottolinea -. E’ normale chiedere un permesso per assistere a una recita di un figlio o per parlare con un suo professore. In Italia, non è proprio così. Qui c’è molta più relazione tra le persone. Il “break” durante il lavoro è un momento per chiacchierare. Ed è un qualcosa di normale. Qui d’estate si entra prima a lavorare e si esce anche prima. Così si ha il resto della giornata a disposizione. Sono piccole cose, dettagli che ti rendono la vita più semplice e piacevole.

– Perché hai deciso di emigrare e perché in Spagna?

– Sono emigrato per ragioni familiari – confessa -. La mia ex moglie decise che era meglio far crescere la bambina a Madrid.

– Sua moglie era spagnola?

– Sì. In seno alla nostra comunità in Spagna – commenta -, il 99 per cento sono tutti matrimoni misti.

Non meraviglia più di tanto, l’italiano riesce a integrarsi bene nel tessuto sociale del Paese nel quale vive; anche in quelle realtà in cui lo straniero è visto con diffidenza.

– Così – prosegue -, per una migliore qualità di vita e di crescita si decise di emigrare a Madrid. Oggi devo dire che è stata una decisione indovinata. Da romano – afferma – devo riconoscere che a Madrid si vive meglio. Roma è una città stupenda per il turista; ma viverci è faticoso.

– Adesso, è diventata una città complicata anche per il turista. Oltre ad essere molto sporca è anche sempre più caotica. Il servizio degli autobus urbani, e della metropolitana, poi, lascia molto a desiderare.

– Tutto verissimo – ammette -. Ma il turista certi dettagli non li avverte. D’altronde, resta solo pochi giorni. Non riesce, non può capire. Se l’autobus non passa, se ne va camminando. Il suo è un approccio certamente diverso. Quando ci vivi invece… Se paragoni Madrid con Roma, scopri che c’è un abisso. E’ vero che qui non abbiamo il Colosseo, non c’è San Pietro, ma almeno puoi fissare un appuntamento e il trasporto pubblico funziona.

– E’ questo senz’altro un grosso valore aggiunto…

– Chi ama l’Italia, ci soffre – afferma -. Io vengo dal settore del turismo. Vi ho lavorato per anni, fino a quando mi sono trasferito a Madrid. A Roma abbiamo una risorsa che è oro: il turismo. Ma non riusciamo a trasformarlo in uno strumento per vivere sereni. Con quello che produce, nessun romano dovrebbe pagare le tasse.

– A cosa ti dedicavi nello specifico?

– Sono nato come “operatore turistico” – spiega -. Poi ho aperto Hard Rock Caffè a Roma. Sono stato Direttore di Marketing e Vendite.

Racconta che tutto nacque da una cartina tridimensionale della città di Roma. Accompagnando gruppi di turisti a Londra, a New York e in altre città d’interesse storico, si rese conto che a Roma non esisteva una mappa che potesse essere d’aiuto al turista. Avendo un rapporto di collaborazione con la “Fratelli Palombi Editori”, una casa editrice storica di Roma, propose di realizzare, insieme a una socia, una “Charta Roma”. Fece un accordo con il Comune per distribuirla nei centri di assistenza e informazione al turista. La sua fu la prima mappa informativa di Roma a “strappo”. L’operatore, nel dare l’informazione, segnalava l’itinerario sulla cartina, la strappava e la consegnava al turista.

– Fu questa iniziativa – ricorda – che mi mise in contatto con Hard Rock Caffè e con altre realtà che vivono del turismo.

Dopo Hard Rock Caffè, fu chiamato dal gruppo alberghiero “Boscolo”, successivamente gestì l’hotel Le Sirene, a Marina di Portisco, in Sardegna; e in seguito inaugurò un ristorante a Piazza Farnese a Roma.

– L’agenzia di viaggi, la mia attività come “tour operator” – confessa – mi ha permesso di scoprire il mondo. Credo che sia stata l’esperienza che più mi ha arricchito come persona.

Ricorda con nostalgia quando nell’agenzia sostituì il telefax, “che oggi pochi conoscono” con il fax.

– Oggi – commenta divertito – non lo usa più nessuno. Posso dire che nella mia vita io ho visto nascere e morire un’eccellenza del progresso.  Ho visto la fine dei biglietti aerei, quei blocchetti con carta carbone che se non stavi attento ti sporcavano le mani, i travel check…

L’evoluzione tecnologica è stata veloce come un lampo. Ci ha semplificato la vita. Ma, in occasioni, ha anche reso obsolete tante attività.

– Quando mi resi conto che i clienti che si recavano in agenzia ne sapevano più di me – afferma – capii che cominciavo a non essere più competitivo. Allora decisi di lasciare l’agenzia di viaggi. Oggi, ci si reca chi vuole un prodotto particolare che richiede professionalità. E’ preferibile appoggiarsi a un’agenzia quando si decide di viaggiare in luoghi poco sicuri e poco conosciuti.

Lazzari, sposato con tre figli di 5, 12 e 26 anni, confessa che il lavoro non gli permette di dedicare loro tutto il tempo che vorrebbe.

– Il lavoro è tanto e le attività di volontariato come il Comites portano via tempo alla famiglia – commenta, poi alla nostra domanda sulla ragione della sua partecipazione nel Comites, risponde:

– Considero che aiutare gli italiani che arrivano in Spagna e quelli che già ci vivono sia il minimo che possa fare. L’idea è evitare, a chi arriva oggi, le peripezie che ho dovuto affrontare io e poi assistere chi ne ha bisogno. Si creano tante amicizie, tante sinergie, e questo non fa altro che bene. Il desiderio di aiutare il prossimo è sempre presente in ogni mia attività. Cerco di sensibilizzare le istituzioni imprenditoriali delle quali sono membro.

– La tua relazione con l’Italia?

– Per fortuna ho ancora mia madre, mio padre e due sorelle – ci dice -. A Pasqua, Natale e in estate cerchiamo di stare insieme. Vado in Italia per lavoro, ma è più una toccata e fuga, comunque possiamo dire che sono sempre in contatto con l’Italia.

– Pensi in un tuo ritorno in Italia?

Scuote la testa e afferma senza rammarico:

– No, non credo. Ho una magnifica moglie e tre figli; avendo la famiglia,  qui è difficile. Ormai – conclude – il mio percorso è qui. Madrid è casa mia.

Mauro Bafile