Dazi: accordo Gran Bretagna-Usa? un autogol clamoroso

La bandiera inglese sventola di fronte al campanile del Big Ben.
La bandiera inglese sventola di fronte al campanile del Big Ben.

ROMA. – Altro che accordo commerciale “fenomenale”. Per Londra, una volta completata la Brexit che Trump favorisce come arma contundente contro l’Unione europea, è molto probabile che il congresso Usa blocchi qualsiasi accordo commerciale. Ma se anche si facesse, per la Gran Bretagna l’unica strada – paradossale – che si aprirebbe sarebbe quella di diventare un centro offshore per la Cina.

Un autogol clamoroso per l’amministrazione americana, racconta Alberto Forchielli, economista esperto di commercio globale e partner fondatore di Mandarin Capital Partners: Trump infatti sta puntando tutte le sue carte sul ‘decoupling’ per spezzare la catena globale del valore in due togliendo export e investimenti alla Cina. Una smentita totale della ‘special relationship’ fra gli Usa e la Gran Bretagna. Al punto che per Jacob Kirkegaard, senior fellow a Washington del think tank Peterson Institute for International Economics (Piie), l’accordo non ha alcun fondamento economico ma guarda alla politica: un ‘assist’ di Trump ai Brexiteers per dire che lasciata l’Europa, gli Usa accoglieranno la Gran Bretagna a braccia aperte.

“La prima questione – sottolinea Kirkegaard – è che Brexit potrebbe esserci: se prevede, come prevedono i Brexiteers, un confine in Irlanda del Nord, il Congresso Usa a maggioranza democratica bloccherà tutto”, come anticipato dalla speaker Nancy Pelosi, che le possibilità di un accordo Usa-Gb sono prossime allo zero”. Semplicemente perché l’accordo del Venerdì Santo del 1998, che avviò il processo di pace in Irlanda del Nord, fu fatto con Bill Clinton come principale sponsor.

Anche se si risolvesse il problema del confine irlandese, con il ‘backstop’ negoziato con la Ue ma ripudiato dai Brexiteers, nel momento in cui scatterà la Brexit “Gli Usa saranno i primi ad approfittarne”, racconta Forchielli. L’interscambio commerciale Usa-G.B. ha pochissimi spazio di miglioramento: “sono già molto integrati”. E gli investimenti? “gli Usa sono già al massimo in Gran Bretagna. Gli investimenti Usa, piuttosto, si sposteranno in Europa continentale da Londra come già sta accadendo con le banche d’affari”.

Kirkegaard è categorico: “non c’è nessun modo per la Gran Bretagna di spuntare un accordo commerciale con gli Usa benefico per la sua economia”. Anche perché, come ha spiegato Trump, gli Usa vogliono premiare la propria agricoltura, il pieno accesso ai contratti con la pubblica amministrazione inglese a partire dal sistema sanitario nazionale, il che metterebbe fine alla politica dei prezzi amministrati dallo storico Nhs”. Infine, dice Kirkegaard, “se gli usa non hanno aperto a alcun cambiamento della propria regolamentazione dei servizi finanziari nel negoziato Ttip con la Ue, perché mai dovrebbero farlo con la Gran Bretagna?”.

Londra, nello scenario prospettato, non ha altra chance che guardare alla Cina. “La Cina ha due necessità: diventando man mano importatrice netta di capitale, avrà bisogno di una piazza globale dopo collocare bond e far scambiare in un grande mercato offshore il renmimbi, anche per uno suo sviluppo come valuta di riserva. E Londra sta già facendo ponti d’oro per questo ruolo”, spiega Forchielli.

I segnali ci sono tutti: la gran Bretagna stata è fra i primissimi, anticipando di due anni l’Italia del ‘memorandum’ con Pechino, a entrare fra i finanziatori della Asian Infrastructure Investment Bank. Che il suo apparato statale (e i servizi) ha dovuto mandare già la presenza di Huawei, nonostante gli strali e le pressioni che piovevano da Washington, per permettere al suo ministro degli Esteri Jeremy Hunt, l’anno scorso, di andare a Pechino per non perdere il treno della Via della seta.

Una Gran Bretagna, dunque, che fa i conti con le banche d’investimento americane, asiatiche, e anche europee che spostano risorse a Parigi, Francoforte o Milano. Che deve puntare a fare la Singapore d’Europa guardando alla Cina. Sarebbe un risultato paradossale, un colpo alla ‘special relationship’, con una Gran Bretagna che verrebbe svantaggiata e guarderebbe necessariamente alla Cina. Al punto che le chance dell’accordo “fenomenale” sono bassissime. “In realtà è un’altra – spiega Kirkegaard – Si tratta di un’ipotesi di accordo che permette ai Brexiteers di dire ‘lasciamo l’Europa ma abbracciamo gli Usa’”. Ma rischia di finire in una bolla.

(di Domenico Conti/ANSA)

Lascia un commento