Spizzichino: “Dedicarsi solo a ciò che si sa fare bene”

MADRID – “Il consiglio che mi sento di dare a tutti è uno solo: dedicatevi a ciò che realmente sapete fare. Molti, soprattutto i giovani, si avvicinano e mi chiedono: ‘Che cosa posso fare?’ Io rispondo semplicemente: ‘Quello che sai fare’. Venire in Spagna e pensare di fare qualcosa che non si conosce, è un gravissimo errore”. E’ l’esperienza quella che parla. E Renato Spizzichino ne ha da vendere. Specializzato in diritto fiscale internazionale e in quello societario comparato, è titolare dello studio di consulenza “Spizzichino & Partners”. Lo incontriamo nel frequentatissimo “Gourmet Experience”, de “El Corte Inglés” di “El Callao”. La presenza dei giovani con tanta voglia di costruire in terra iberica un proprio futuro è ormai una realtà. E se ancora si dovessero nutrire dubbi, basta leggere i rapporti dell’Ine, l’Istituto Nazionale di Statistiche spagnolo. C’è chi, una minoranza, viene già con un contratto e chi, invece, solo con tanta voglia di lavorare. Questi ultimi costituiscono la stragrande maggioranza.

– A suo giudizio, quindi, è un errore reinventarsi – insinuiamo.

– Si – afferma convinto -. O si ha un progetto preciso, ben studiato e con un “business plan” e un budget, o è meglio dedicarsi a quello che si sa fare. Se sei idraulico, devi svolgere questa professione senza pensare ad altro. Ad esempio – prosegue -, se fai l’idraulico in Italia ma lavori poco, è inutile pensare di venire in Spagna per aprire un bar. Dopo un po’ chiudi. Spendi solo i soldi e poi ti vedi obbligato a tornartene in Italia con la coda tra le gambe.

Altro consiglio di Spizzichino, anche questo rivolto soprattutto ai giovani, è quello di venire in Spagna con molta umiltà. Cominciare a fare esperienza, magari da dipendenti per poi diventare titolari. Insomma, non aver paura della gavetta.

– La Spagna, benché sia molto simile all’Italia – commenta -, ha una propria cultura. E’ necessario cercare di capire i gusti dello spagnolo, il suo modo d’essere, le sue peculiarità. Non si può pensare di venire e chiedersi cosa non c’è. Qui c’è tutto, come d’altronde in Italia. Dedicati a quello che sai fare e se sei bravo, avrai successo.

 

Prime nelle “Canarias”

La domanda non è casuale e sorge spontanea. Che cosa ha mosso Spizzichino a scegliere la via dell’emigrazione? Quale è stata la molla che l’ha fatto decidere di recarsi in Spagna? Con molta semplicità risponde:

– E’ stato frutto della casualità.

Poi, dopo una breve pausa, con un sorriso che appena si disegna sulle labbra, prosegue:

– In realtà, mi sono recato prima alle Isole Canarie. Nel 2014, un cliente mi chiese di controllare un investimento che gli era stato proposto nelle Isole Canarie. Pagò la trasferta. Mi recai in Spagna per analizzare i dettagli dell’investimento. Vi restai una settimana per poter fare una valutazione. Cercai di capire un po’ come funzionasse la tassazione e tutto ciò che è inerente a essa. Alla fine gli consigliai di non andare avanti con l’operazione perché non mi piaceva il soggetto che proponeva l’investimento. In cambio, mi piacque molto la politica di tassazione e anche quella tributaria dell’amministrazione finanziaria spagnola. All’epoca avevo lo studio a Roma, aperto nel 1982. Si lavorava sempre meno, era un momento un po’ difficile. Mi dedicavo alla fiscalità internazionale. Mi sono detto: “Quasi, quasi quel che faccio a Roma, provo a farlo dalle Canarie”.

Racconta che inizialmente era sua intenzione dedicarsi solo all’ambito degli investimenti. Poi, commenta, decise di ricominciare.

– Come si dice: “chi nasce tondo non muore quadrato”. Prima di mettermi in gioco ho voluto capire la realtà spagnola. Ho studiato bene, per sei mesi, il sistema fiscale e tributario. Volevo essere sicuro. Nel frattempo continuavo a seguire i miei clienti. Venni a settembre del 2014. Lo studio nelle Isole Canarie lo aprii il primo aprile del 2015.

– Quali sono le difficoltà che deve affrontare il cittadino italiano che vive in Spagna o vi emigra? Prendiamo in considerazione tre casi: l’italiano che già vive in Spagna, l’italiano che decide di trasferirvisi definitivamente e il figlio di un imprenditore al quale il padre dice: “vai a vedere che opportunità d’investimento offre la Spagna”.

– La maggiore difficoltà è la differenza di mentalità – commenta -.  Prendiamo ad esempio l’imprenditore abituato a fare impresa in Italia e che decide di venire ad investire. La prima differenza è quella che incontra dal punto di vista dell’offerta professionale. Mi spiego. In Spagna, c’è l’avvocato, esperto in diritto societario che offre la sua consulenza. Ti aiuta a costituire la società. Poi, per quel che riguarda la quotidianità, ti affida al cosiddetto “asesor”. Questo sarebbe il contabile. Che cosa vuol dire? Che svolge semplicemente un lavoro pratico, operativo, ma senza essere un vero e proprio consulente, come invece accade in Italia. Da noi esiste la figura del dottore commercialista che è un po’ il giurista d’impresa. Sa di diritto e anche di operatività e, soprattutto, ti suggerisce qual è il miglior percorso e quale la migliore scelta possibile.

 

Commenta che in Spagna, la mentalità diffusa è quella di dire: “se chiedi, rispondo; se non chiedi, non dico nulla”. A modo di aneddoto racconta che un suo cliente non era stato informato dal proprio consulente di alcune opportunità di carattere fiscale. Quando reclamó chiedendo al consulente le ragioni per cui non era stato opportunamente informato lui si limitò a rispondere: “Ma tu non me lo hai chiesto”.

– Noi italiani, invece – aggiunge -, abbiamo l’abitudine di andare dal commercialista che ci orienta su cosa si può fare, cosa si dovrebbe fare e come farlo. Questa, secondo me, è la prima difficoltà che può incontrare un imprenditore o chiunque volesse fare impresa in Spagna.

Per quel che riguarda la seconda domanda, sostiene che tra imprenditore e professionista non vi è alcuna differenza.

– L’approccio – sostiene – è sempre lo stesso: a domanda risposta. Non si ha la consuetudine di dire: “sono trascorsi sei mesi, vediamo qual è la tua situazione, come migliorare l’impatto fiscale e il controllo di gestione”. Questa è stata almeno la mia esperienza.

– E i giovani che vengono e trovano un lavoro in nero?

– Ti faccio un esempio pratico – taglia corto, concreto -. E’ venuto a trovarmi un giovane italiano, sui 35 anni. Si era trasferito a Madrid per lavorare. L’avevano assunto in un’azienda e gli avevano assicurato che avrebbero fatto tutte le pratiche pertinenti. Ed invece non hanno fatto nulla. Il giovane ha firmato un contratto in cui dichiarava che aveva aperto la sua posizione fiscale.  L’azienda che l’ha impiegato ha fatto le fatture con l’Iva e non si è preoccupata di aprirgli la posizione fiscale, la “Seguridad social”… Morale, è venuto da me per vedere cosa era accaduto. Ora, per sistemare tutto, dovrà pagare più di quanto ha guadagnato in questi mesi. Allora, qual è la difficoltà? Semplice. E’ che andiamo in un Paese straniero del quale non sappiamo nulla e spesso senza parlarne la lingua. A volte pensiamo di conoscerla ma non è così… Non voglio pensare che quell’azienda abbia voluto agire in malafede – aggiunge -. Non ce ne sarebbe ragione. Sono più propenso a pensare che non si siano compresi; che quel giovane abbia capito una cosa piuttosto di un’altra.

– Consigli?

– E’ necessario conoscere molto bene la lingua. In caso contrario – afferma -, rivolgersi a un consulente italiano o che quantomeno parli italiano e spagnolo; che abbia una cultura professionale italiana perché altrimenti si può incorrere in rischi del genere.

Passiamo al terzo caso, quello del padre imprenditore che decide di inviare il figlio ad esplorare possibilità d’investimenti in Spagna.

– Quel padre deve avere la consapevolezza che saranno necessari almeno 6 mesi – commenta -. Non può pensare ad un periodo inferiore. Quindi deve mettere il figlio, o il manager, in condizione di vivere degnamente, di poter studiare il territorio, di poter capire se quell’attività può o no essere redditizia. Richiede un investimento. E anche in questo caso, è utile un professionista che conosca non soltanto la materia ma anche il territorio.

Sostiene che, secondo l’attività, è consigliabile stabilirsi in una città o in un’altra. Ad esempio, Valencia piuttosto che Madrid, o Barcellona piuttosto che Mallorca. Ogni località ha la sua caratteristica. E poi, anche nella città, è necessario capire qual è il quartiere migliore. Si può aprire un ristorante nella città giusta, ma se poi si fa nel quartiere sbagliato, il progetto comunque non decolla. E poi, insiste, “è bene affidarsi a professionisti che conoscano bene le normative. Non solo quelle relative al diritto tributario ma anche quelle concernenti il diritto civile”.

 

Il mito delle tasse

“In Spagna si pagano meno tasse”. Quante volte lo abbiamo ascoltato? E’ diventato un mito, una vera e propria leggenda urbana. Ma è proprio così? Fanno bene i pensionati a recarsi in Spagna pensando che così la loro pensione gli permetterà un miglior tenore di vita? Lo chiediamo a Spizzichino che, alla nostra domanda, scuote la testa sorridendo con amarezza.

– Non bisogna credere a tutto quel che si dice – afferma -. In Spagna un reddito da pensione medio alta paga le stesse identiche imposte che in Italia. E’ una sciocchezza affermare il contrario; ma è un errore che molti commettono. Proprio qualche giorno fa, incontrando dei clienti, ho detto che su certi redditi la Spagna non conviene perché comunque alla fine le imposte sono le stesse. Mi hanno risposto: “Com’è possibile? Il mio commercialista mi ha assicurato che con un reddito di 60 mila euro, come autonomo, si paga pochissimo”. Ho pensato che probabilmente c’era qualcosa su cui non si erano compresi. L’altro giorno ho ricevuto una mail. L’amico confermava quanto affermato dal commercialista e m’inviava il link di riferimento. Sono andato nel sito e mi sono reso conto che si riferiva solo all’aliquota “autonómica”. In Italia, in effetti, abbiamo solo l’aliquota Irpef. Puoi abitare a Trapani o a Milano e l’aliquota Irpef è sempre una. In Spagna no. Oltre all’aliquota statale, c’è anche quella “autonómica”. Le due vanno sommate. Questo è un altro errore in cui si può incappare. Anche in questo caso, non dico che il consulente lo abbia fatto con cattiveria. Ha semplicemente dato per scontato che si sapesse che bisognava pagare anche quella statale. Il cittadino italiano però non lo sa. Non può saperlo se non glielo dici. Bisogna fare molta attenzione, quindi, perché il consulente spagnolo, in buona fede, può dare per scontate cose che scontate non sono. Molti pensionati vanno alle Canarie perché leggono l’aliquota e dicono: “Che bello, se guadagno 50 mila euro, ho l’aliquota del 20 per cento”. Ma non è vero perché poi devi aggiungere il 25 per cento statale. Ci sono tante agenzie che ti spronano a venire. Lì sì ci può essere un po’ di malafede. Il pensionato decide di emigrare, di lasciare i suoi cari, la sua quotidianità, le sue amicizie pensando che comunque vivrà una vita decisamente migliore. E non è vero.

– Ci sono comunque accordi tra Spagna e Italia. Quanto è importante, in questo caso, l’iscrizione all’Aire?

– E’ fondamentale – sostiene convinto -.  Molti non lo fanno per le più svariate ragioni. Il testo unico sulle imposte sul reddito italiano dice che l’iscrizione all’Aire è un requisito necessario per dimostrare di pagare le imposte. Molti non s’iscrivono per ignoranza, altri perché magari non vogliono far sapere che si sono trasferiti e dove. Comunque sia, la legge non ammette ignoranza. L’Italia, nel caso di mancata iscrizione all’Aire, non ti riconosce le tasse pagate in Spagna.

Spizzichino assicura che in Spagna, diversamente che in Italia, si può ancora fare impresa. E le ragioni, a suo avviso, sono tante.

– In Italia – spiega – hai un socio al 50 per cento: è lo Stato. Se guadagni, prende il 50 per cento. In caso contrario, sei l’unico a dover affrontare le spese. In Spagna – prosegue -, lo Stato comunque prende la sua parte, ma in maniera molto più discreta. E poi, il costo del lavoro è molto più basso, pur dando le stesse garanzie previdenziali, sindacali ecc. Questo è un aspetto che mi piace sottolineare.

Ricorda per concludere che quando fu presentato il Vademecum del Comites, iniziativa alla quale collaborò fattivamente, fu chiamato sul palco. Una giornalista gli chiese perché preferiva fare il commercialista in Spagna e non in Italia. Rispose:

– C’è una differenza fondamentale tra i due paesi. L’Italia è una Repubblica in cui i cittadini sono considerati sudditi; la Spagna, viceversa, è una monarchia nella quale i sudditi sono considerati cittadini.

Mauro Bafile

 

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