Dal mare di Cubagua un viaggio nello spazio e nel tempo

Copertina del libro Cubagua.
Copertina del libro Cubagua.

di Mariza Bafile

CARACAS. – Tradurre un libro non è mai facile. Non è solo una questione di correttezza e conoscenza delle lingue con le quali si lavora. Per raggiungere la qualità narrativa dell’originale il traduttore deve essere capace di immergersi nello stile dello scrittore, nel tempo e nel contesto storico, politico e geografico in cui ha vissuto e in cui si svolge la trama del libro. Deve saper scoprire le ombre, le sfumature, la musica che compongono le parole per poi riprodurle creando la stessa tensione narrativa voluta dall’autore. Non basta cercare lo stesso termine bisogna saper riflettere esattamente e con uguale musicalità, a volte uguale stridore, il pathos dell’originale.

Se ciò è vero sempre, tanto più lo è quando parliamo di uno scrittore latinoamericano che usa le parole come pennellate di colore, uno scrittore come il venezuelano Enrique Bernardo Núñez che utilizza il linguaggio come fonte inesauribile di sensazioni. Il libro Cubagua di Bernardo Núñez è senz’ombra di dubbio precursore di quel realismo magico che hanno sviluppato altri grandi, in primis García Márquez.

Enrique Bernardo Núñez nasce a Valencia, in Venezuela, nel 1895. La sua professione di giornalista lo porta a stare sempre sulla notizia, a leggere la realtà, a restarne immerso. Ma lo farà sempre con uno sguardo dissacratore, ironico. Il linguaggio è la sua arma, con le parole racconta, inventa, critica, distorce le regole grammaticali quando le sente strette, o ha bisogno di trasmettere una particolare immagine, una certa emozione. Ecco dunque che gioca con la punteggiatura quando vuole lasciare il lettore senza fiato, o modifica i verbi in una stessa orazione per intessere passato, presente e futuro. In alcuni casi interrompe le frasi, le lascia sospese nel vuoto. Mescola il linguaggio poetico con quello giornalistico, impreziosisce le cronache con aggettivi che le allontanano dalla concretezza della verità per trasformarle in mondi paralleli. Da gran cronista qual è, ruba alla realtà luoghi, storie, personaggi che poi mescola con la fantasia fino a renderli fittizi, costruisce piani temporali che si mescolano, si confondono, a volte si fondono. Rompe gli schemi imposti dalla letteratura della sua epoca e apre una nuova pagina che pochi, pochissimi, soprattutto in Venezuela, apprezzano nel suo giusto valore.

Cubagua è un poetico, meraviglioso, viaggio nel tempo e nello spazio che parte da una piccola isola venezuelana vicina a Margarita, più grande e più nota.

Come scrive nella prefazione la riconosciuta scrittrice Margara Russotto: “Il libro che oggi, per la prima volta, è a disposizione dei lettori italiani, possiede la bellezza e il potere di un iceberg che naviga nelle acque della letteratura mondiale, non solo perché trascina sotto la superficie la densità storica e culturale del Venezuela, ma anche perché la sua particolarità narrativa si apre al desiderio di riscrittura di un racconto in fuga e di reinterpretazione della storia vincolate alla ricerca di un senso della propria vita”.

Coche, Cubagua, Margarita, sono isole generose, ricche, tanto quanto il paese al quale appartengono. E di conseguenza sono anche meta di concupiscenza e avidità.

I personaggi della novella si muovono fluidamente da un tempo a un altro lontano centinaia di anni. La loro essenza è uguale, sono la copia adeguata all’epoca in cui vivono, alla terra che li accoglie, ricca di perle in un primo tempo e di petrolio dopo. Ricchezze che terra e mare regalano come una benedizione ma che spesso si trasformano, per i locali, in maledizione.

Come cartine al tornasole, i protagonisti, mutano allo sguardo, restando però immutati nel loro essere più profondo.

Nila Cálice racchiude in sé la luce e l’oscurità. È madonna e puttana. In un tempo è una giovane disinvolta, ambiziosa, moderna e in un altro un’indigena figlia di Rimarina, cacicco della tribù dei fieri guerrieri Tamanacos. Stessa sintesi di personalità diverse ma uguali, diluite in piani temporali diversi ma uguali, riscontriamo in altri protagonisti come ad esempio il Frate Dionisio, tutore di Nila, o nell’ingegnere Ramón Leiziaga, che torna nella sua terra con una laurea ottenuta ad Harvard, dopo aver assorbito una cultura che lo fa sentire straniero in patria. Leiziaga in un tempo passato diventa il Conte Luigi di Lampugnano, avventuriero che ottiene una concessione per raccogliere le perle con una macchina inventata da lui.

Con la puntigliosità del buon cronista e la penna del novellista d’eccezione Núñez costruisce un mondo magico, senza tempo, un mondo dominato da una luce cambiante, a volte bianca e priva d’ombre, a volte dolorosamente cupa, luce che riflette sentimenti e costruisce lo scenario in cui si muove un mondo reale nella sua irrealtà, drammatico e denso di ironia, poetico e duro.

L’impalcatura di Cubagua sono le parole, è il linguaggio. Ecco perché avventurarsi nella sua traduzione è un viaggio audace come lo fu quello di chi varcò l’oceano alla ricerca di nuove terre. Lo confessa lo stesso traduttore Giovanni Di Vaira. “Núñez usa termini molto venezuelani, anzi proprio dell’isola e dell’inizio del secolo scorso. Descrive il mondo della pesca; la flora, la fauna. Ma la difficoltà maggiore l’ho incontrata ogni volta in cui mi sono imbattuto con quelli che apparentemente erano errori, per esempio frasi che hanno un soggetto femminile e un aggettivo maschile. Ma errori non erano, come mi ha più volte spiegato Alejandro Bruzual, studioso attento di Enrique Núñez che mi ha aiutato a dirimere alcuni dubbi. Lui mi ha confermato che il libro è stato sottoposto a molte revisioni da parte dell’autore che non se ne è mai sentito completamente soddisfatto. Comunque in alcuni casi, trovandomi di fronte a particolari incongruenze, ho preferito aggiungere una nota esplicativa.”.

Chiediamo a Di Vaira il perché della scelta di un testo tanto particolare e poco conosciuto: “Il libro di Núñez mi ha emozionato perché rispecchiava esattamente le emozioni che ho sempre provato a Margarita e Cubagua, la sensazione di un tempo perso, smarrito. Mi ha affascinato la sua scrittura ermetica, quel lasciare il racconto a tratti inconcluso e quindi aperto alla fantasia. Non è una storia chiusa, anzi aveva addirittura due possibili finali. E io ho potuto scegliere quella che mi sembrava più giusto. Insomma è stato un viaggio”.

Sì, un viaggio in cui, senza lasciarsi scoraggiare dalle onde alte di un mare calmo solo in apparenza, Di Vaira ha attraversato il vasto oceano a bordo di Cubagua fino a farla sbarcare, in tutto il suo splendore, sulle spiagge italiane.

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