Il Senato approva la riduzione dei parlamentari, nodo referendum

Una veduta dell'aula del Senato durante l'esame del decreto legge sulle disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni
Una veduta dell'aula del Senato durante l'esame del decreto legge sulle disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – Ha superato il terzo, dei quattro round, la sforbiciata al Parlamento che dalla prossima legislatura conterebbe 600 fra deputati e senatori, ossia 345 poltrone in meno. Con 180 sì e 50 no e un testo blindato il Senato ha approvato la riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari (contrari Pd, gruppo Misto e Autonomie; Forza Italia non ha partecipato al voto).

Un voto che mette in pista il referendum confermativo, visto che la riforma non ha ottenuto i due terzi dei voti parlamentari (e sicuramente non li otterrà nell’ultima lettura alla Camera) come stabilito dalla Costituzione, per evitare la richiesta della consultazione popolare. Tant’è che nei corridoi parlamentari inizia a circolare l’idea di un referendum da affiancare alle elezioni politiche, in primavera.

Un’ipotesi di election day che sarebbe accarezzata dai 5 stelle, intrigati dall’idea – si ragionava nei capannelli formatisi in giornata in Transatlantico alla Camera e al Senato – di poter sfruttare il più possibile l’effetto traino della riforma da loro voluta. Un tema su cui la Lega non sembra al momento voler entrare in partita ma che potrebbe diventare oggetto di confronto nella coalizione nei prossimi giorni.

Come stabilisce la Costituzione, entro tre mesi dalla pubblicazione della legge, possono chiedere il referendum un quinto dei deputati o dei senatori o 500 mila cittadini o 5 Consigli regionali.

Nel breve, il voto sul taglio dei parlamentari evidenzia di nuovo la debolezza della maggioranza al Senato. Acuita ora dal ‘distacco’ di FI. Su questo si accanisce il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro: “Prima delle Europee, FI ha votato a favore. Quando i giochi si fanno duri, ha deciso di mollare. Altri sono stati più coerenti”.

Resta il fatto che su provvedimenti che richiedono la maggioranza qualificata i gialloverdi si sono fermati a quota 159, contro i 161 richiesti. E il soccorso annunciato di FdI è risultato determinate per raggiungere l’obiettivo. A questo punto per l’approvazione definitiva del provvedimento resta solo l’ultimo miglio, da fare alla Camera probabilmente a settembre.

“Ci manca l’ultimo tempo per segnare il gol definitivo”, gongola il vicepremier e leader del M5s Luigi Di Maio uscendo da Palazzo Madama. Giorgia Meloni fa pesare, nel giorno in cui FI si sfila e non vota una “riforma parziale e fatta male”, i suoi voti che si aggiungono ai sì isolati di Gaetano Quagliariello e Mariarosaria Rossi. “E’ solo grazie a noi che il provvedimento è passato”, rivendica la leader di FdI, che va oltre: “La finestra per andare a votare a marzo non è ancora chiusa. Non ho mai fatto mistero di sperare che l’Italia torni al voto con una maggioranza che, ormai secondo tutti i sondaggisti, sarebbe schiacciante, Fratelli d’Italia-Lega”.

Il provvedimento modifica gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione: la Camera avrebbe così 400 deputati (oggi sono 630), portando a 8 quelli eletti nella circoscrizione Estero (oggi sono 12), mentre i senatori diventerebbero 200 rispetto agli attuali 315, riducendo da 6 a 4 gli eletti fuori dall’Italia. Entusiasti quindi i 5Stelle, a un passo dalla conquista di una legge che è nel dna del Movimento. Di Maio si lancia nei conti: “In 5 anni risparmieremo 500 milioni di euro, 100 milioni l’anno. 300 mila euro al giorno”, ricorda sui social.

(di Michela Suglia/ANSA)