A Malta è caccia al tesoro del figlio di Gheddafi

Un primo piano di Muammar Ghedaffi
L' exdittatore della Libia, Muammar Ghedaffi, ucciso dai ribelli il 20 d' ottobre 2011

LA VALLETTA.  – I soldi, quelli, erano frutto di “affari personali”. E se si vogliono più dettagli: “Spiacenti, prenotate un viaggio in Paradiso per avere risposte a queste domande”. Si è dovuto rifugiare nel sarcasmo, Charilaos Oikonomopoulos, il superavvocato greco nominato dalla vedova del colonnello Gheddafi, Safia Ferkash, nella nuova puntata nella guerra legale in corso da anni nel palazzo di giustizia della Valletta per i fondi (ex) segreti di Muatassim, uno dei figli del dittatore libico. Un caso che si trascina nel pantano di tanti malcelati interessi maltesi sullo sfondo.

Da una parte ci sono la Libia del governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite, dall’altra Safia che si è stabilita in Oman ed è anche la madre di Muatassim Gheddafi, il quinto figlio del colonnello Muhammar. Quello che lo affiancò fino alla morte nel deserto della Sirte il 20 ottobre 2011.

In gioco, gli oltre 90 milioni di dollari depositati in conti e carte di credito presso la Bank of Valletta (Bov), la principale banca di Malta. E gestiti da due società di diritto maltese (Capital Resources e Mezen International), costituite da Muatassim prima della rivoluzione, quando era noto come “crudele playboy” che incassava decine di milioni di dollari ed era capace di spendere 4.890 euro in una sera nel parigino night L’Arc Paris ed altri 4.500 per la cena al Rival Deluxe sugli Champs Elysée.

Quando morì gli trovarono in tasca una delle sue Visa platino emesse dalla Bov. Nel 2015 il Procuratore generale nominato dal governo di Tripoli ha chiesto la restituzione dei fondi alla Libia. Entrambe le società erano state affidate da Muatassim al maltese Joe Sammut, un ex tesoriere del partito laburista, controverso avvocato d’affari legato a molti libici, che nei decenni di Gheddafi avevano investito sull’isola (a partire dallo stesso dittatore). E che dopo la rivoluzione vi si sono definitivamente rifugiati.

La linea di Oikonomopoulos prima ha percorso la via della ‘non competenza’ del tribunale maltese su una disputa libica. Da quando la corte si è pronunciata in senso opposto la disputa è sulle origini e la destinazione dei fondi. Con la Bov sostanzialmente accusata di resistenza passiva alle richieste libiche, avendo violato la norma del ‘know-your-client’ e per non aver svolto una adeguata ‘due diligence’.

“State cercando di dimostrare che la provenienza dei fondi fosse illecita, ma non c’è neppure alcuna minima parte di quei soldi che sia collegabile a qualsiasi forma di business libico, ufficiale o meno” ha affermato, secondo quanto riportato da Malta Today, il superavvocato greco nel confronto con l’avvocato maltese Shaheryar Ghaznavi, che rappresenta la Procura generale libica nel processo.

“I soldi venivano, mi è stato garantito e ne sono personalmente convinto, da affari privati” ha aggiunto il legale, che tuttavia non ha saputo fornire dettagli alle domande che sono state poste dopo che un team di esperti nominato dall’Onu ha esaminato i conti delle due società.

Analisi che ha messo in luce, ad esempio, un versamento di 55 mln di dollari dalla Mezen International alla Capital Resources, con la Mezen che però riceveva a sua volta fondi da una terza società, Moncada International (oltre 40 mln dlr nel solo 2010).

A complicare l’intrigo, i versamenti fatti nel febbraio 2011, quando Muatassim era ancora vivo: 133.832 dlr in due pagamenti descritti come “Accordo LISA” e “Accordo ALAG”. Che secondo l’avvocato dei Gheddafi sarebbero la prova dell’esistenza di un figlio che l’ex rampollo avrebbe avuto da Lisa van Goinga, una modella olandese.

Ma finora il greco non ha portato in corte alcuna prova concreta tanto del matrimonio quanto della paternità. E sui media maltesi non mancano le speculazioni sulla gestione di un tesoro che ha tanti pretendenti, nessun proprietario e forse troppi beneficiari maltesi.

(di Marco Galdi/ANSA)

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