Claudio Fiorentini, da Roma a Madrid nel segno della cultura

MADRID– Claudio Fiorentini è romano di origine ma è cresciuto in Messico. Dopo aver girato mezzo mondo, da poco è approdato a Madrid dove è in procinto di inaugurare un centro culturale da lui fortemente voluto. Ma cerchiamo di conoscerlo un po’ meglio e di scoprire di più sui suoi progetti…

“Sono nato quando la domenica ti divertivi a raccogliere pinoli e a cercar cicoria…” – ci dice, con un pizzico di nostalgia. “Roma – prosegue – era una città ignorante e umile, inconsapevole della sua bellezza. Nel 1971, avevo 12 anni, sono andato in Messico e lì sono cresciuto. Mi vanto di aver frequentato scuole locali senza mai crearmi la mia nostalgica Little Italy. È stato lì che ho scoperto la musica e la poesia: passavo le ore alla chitarra e a scrivere. E cantavo. Sappiamo bene che la gioventù è incosciente, ma oggi provo afflizione per le ore di tortura che ho inflitto alla mia famiglia e ai vicini di casa. Chiedo umilmente perdono. Tornando al mio racconto, nel 1981 tornai a vivere a Roma e non riuscivo ad identificarmi con la gioventù del posto. Insomma, ero diventato un nostalgico e insopportabile disadattato. Chiedo perdono a tutti gli amici a cui ho imposto la mia pesante presenza. Però tutto cambia e anche i mugugnoni trovano qualcosa di buono da fare, e tra il lavoro e le attività parallele, come la sperimentazione poetica, il teatro, la fotografia e, sempre, ma senza torturare i vicini col mio canto, l’ascolto della musica, sono diventato una famiglia mononucleare. Dopo il lavoro mi dedicavo alla poesia, e alla vita sociale. Ricordo una serata in un locale di Roma: un gruppo punk mi aveva invitato a leggere le mie poesie sperimentali in mezzo a quel putiferio… e io che ho sempre odiato il punk! Nel 1992 ho iniziato a pubblicare, naturalmente ho subito creduto che sarei diventato famoso, invece ho scoperto l’attivismo culturale, quello delle serate, degli eventi, delle provocazioni, la vera linfa della contemporaneità. A Roma avevano appena inaugurato Cinecittà 2, il primo centro commerciale della nostra storia. Saverio Ungheri, un artista visionario, aveva organizzato proprio lì una mostra di astralismo e arte bionika, in piena estate, in mezzo ai negozi. Durante la mostra alcuni poeti contemporanei leggevano le loro opere. Era il turno dei metasimbolisti, corrente della quale facevo parte, e si leggeva poesia sperimentale, roba da Berio e Stockhausen… la cosa più impressionante è che la gente si fermava ad ascoltare. Ci fu anche un bel dibattito. Nel 1995 mi trasferii a Milano per poi finire, con profondo sollievo, a Parigi, in Marocco, poi di nuovo in Francia e poi, dopo diversi anni, ancora a Roma, dove ho alimentato al meglio le mie passioni e, oltre a poesia e narrativa, ho iniziato un percorso nell’arte figurativa. Alcuni mi chiamano pittore, io credo di essere un po’ border line, non patologicamente, ma artisticamente. A Roma ho anche collaborato con varie associazioni culturali, ma soprattutto con AlberoAndronico, associazione di cui sono diventato vicepresidente, e con lo storico centro di promozione delle arti e della cultura Polmone Pulsante, nel cuore della Suburra, per il quale, durante alcuni anni, ho curato quasi tutte le rassegne letterarie. Oggi vivo a Madrid dove, dopo alterne vicende professionali, mi sono trasferito con l’idea di aprire un mio piccolo polo espositivo che ha come scopo dare spazio agli emergenti e alle eccellenze italiane (ma non solo) sia artistiche che artigianali”.

Claudio Fiorentiniè davvero un artista a tutto tondo. I suoi interessi spaziano tra letteratura, pittura, fotografia, includendo anche musica e poesia. Cerchiamo di capire se c’è una disciplina che prevale più delle altre, o alla quale si sente più vicino:

“Artista non so – afferma – ma anima inquieta sì. Sono sempre alla ricerca dell’espressione della voce più intima,  che a volte si fa sentire. Mi piace pensare che sia la voce dell’anima. Ho iniziato a scrivere come probabilmente tutti gli adolescenti, ma poi ho continuato, e forse per pigrizia ho scelto la poesia. La musica, che avrei voluto fosse la mia attività principale, non mi ha mai privilegiato del talento… La fotografia è stata un passaggio intermedio divertente, ma quando con gli acidi ho rovinato la vasca da bagno, ho riposto ingranditore e vaschette nel ripostiglio… anzi, ho venduto tutto. Intanto la narrativa mi cresceva dentro e ho scoperto che vivere con i propri personaggi è totale follia. Ma la follia mi è sempre piaciuta, per cui ho continuato e ad oggi ho pubblicato sette romanzi, una raccolta di racconti e ho due romanzi nel cassetto. Ho anche pubblicato cinque sillogi poetiche, di cui una sotto pseudonimo. Poesia e narrativa si accompagnano sempre, ma sono sostenute entrambe dalla musica che ora mi suona dentro. La pittura è venuta dopo, ed è pura esplorazione dove si arriva a una trance. Ed è molto fisica. Insomma, per rispondere alla tua domanda: no, non c’è un più o un meno, c’è solo un ritmo esistenziale (suona bene, no?) che mi porta da una parte o dall’altra. Detta così sembro un pesante esistenzialista, ma non lo sono. È solo questione di voglie o di bisogni. Se devo sfogare la creatività più fisica dipingo, se devo fare un’istantanea di quello che mi appare dentro scrivo poesia, se invece voglio far vivere personaggi diversi da me e inserirli in una storia, beh, è evidente, scrivo racconti o romanzi, ma i romanzi non sono “istantanee”, hanno bisogno di tempo, almeno un paio d’anni per essere compiuti. In tutto questo, però, c’è la rilettura, la riscrittura, lo scarto e la selezione… non si può dire arte tutto quello che si fa. Se anche gli artisti più raffinati producono roba che poi scartano, figurati uno come me”.

Per diversi anni, Fiorentini ha vissuto anche in Francia e in Marocco, poi Roma. Un lungo viaggio che lo ha condotto fino a Madrid, dove sta per lanciarsi in un nuovo, entusiasmante progetto. Vediamo, nel dettaglio, di cosa si tratta:

“Il progetto ricalca un po’ le varie esperienze extraprofessionali avute a Roma, dove per anni mi sono occupato di promozione culturale. A Madrid sto aprendo proprio in questi giorni una piccola galleria d’arte che, però, si propone come centro di aggregazione e promozione delle arti e della cultura. Intendo, tra le altre cose, proporre eccellenze italiane sia artistiche che artigianali, quindi con un programma di attività abbastanza aperto, ma sempre rappresentativo della cultura. Oltre alle mostre, infatti, proporrò eventi, presentazioni, dibattiti, rassegne e piccoli spettacoli, concentrandomi su ciò che ancora non è affermato ma che vale la pena conoscere e che merita visibilità. Insomma, un insieme di attività che portano movimento e promuovono il fermento che dà vita alla cultura contemporanea. Nei miei piani c’è anche la creazione di una piccola rete che include piccole gallerie, analoghe alla mia, in altri Paesi. L’ideale sarebbe far da ponte tra l’Italia e la Spagna con eventi replicabili altrove o con eventi speculari. Le mostre potrebbero essere itineranti, oppure potrebbero diventare uno scambio offrendo, ad esempio, sincronicamente, mostre di artisti italiani a Madrid e di artisti spagnoli a Roma. Chiaro, non si tratta solo di arte pittorica, ma di letteratura, poesia, musica, artigianato artistico… in poche parole è un bel pentolone dove bollono vari ingredienti che potrebbero dar lustro alla meraviglia che oggi abbiamo tra le mani e di cui, raramente, riusciamo a cogliere la bellezza”.

Siamo incuriositi. Come mai Claudio ha scelto proprio Madrid? Cosa lo ispira di questa città, rispetto alle altre? Risponde senza esitazione:

“Molte delle nostre scelte dipendono da mille combinazioni di eventi, nel mio caso c’è anche il lavoro di mia moglie. Oggi, comunque, spostarsi da una città all’altra in Europa dovrebbe essere quasi normale. Madrid è una delle città più entusiasmanti del mondo, questo posso dirlo ad alta voce, dato che ho viaggiato tantissimo e non ho mai visto una città più accogliente e vivibile di Madrid che, per molte cose, dovrebbe essere considerata un modello.

C’è  una sua frase che potremmo definire il filo conduttore di tutto il suo percorso artistico: “credo che occorra essere fedele ai sogni”. Quali sono i sogni di Claudio Fiorentini? E soprattutto, è davvero riuscito a mantenere il suo impegno di fedeltà nei loro confronti, oppure qualche volta li ha dovuti tradire? Mentre si accinge a risponderci, un lieve sorriso gli increspa le labbra:

“I sogni, queste cose che non esistono ma che ci cambiano dentro, sono come le idee: non finiscono mai. E come le idee, i sogni vanno usati. Se un’idea non la usi va a finire che diventa un tappo per le altre idee che, altrimenti, uscirebbero. Lo stesso vale per i sogni. E se non stai a sentire le loro indicazioni ti appiattisci e diventi sterile. Intendiamoci: quando parlo di sogni, non parlo solo di quelli che si fanno ad occhi aperti, ma anche di quelli che si fanno ad occhi chiusi. Loro sono un linguaggio misterioso che dà voce a ciò che popola la mente… e ti assicuro, di popolazione, nella testa, ce n’è proprio tanta. Molti dei miei scritti partono da sogni, molti dei miei quadri li faccio perché ho sognato qualcosa. Non li realizzo mai come li ho sognati. Questo è un bene perché mi rimane sempre qualcosa da fare e perché così loro ribadiscono il diritto di vivere…  bisogna avere sempre qualcosa da fare e guardare avanti, bisogna sempre avere dentro di sé questa pulsione che porta ad esplorare nuove strade e nuovi sogni. Essere fedele a un sogno non significa realizzarlo, ma rispondergli facendo qualcosa che non avevi fatto prima, agire con la testa e con il corpo nel mondo “reale” in modo da riconoscere la realtà “irreale”, quella che si nasconde nella parte più intima di ciascuno di noi. Mi viene in mente lo spettacolo di un comico argentino di cui un conoscente mi aveva regalato l’audiocassetta (purtroppo non ricordo il titolo): lui parlava di suo padre, un uomo che aveva sempre lavorato duro dimenticando che aveva sogni, fino a quando lui, bambino, aveva chiesto al padre di fargli un disegno… raccontava che da quel giorno il padre non aveva mai smesso di disegnare… e di sognare. Tornando a noi, se parliamo di creazione artistica, o presunta tale, dovremmo chiederci: chi ce lo fa fare? Un dipinto, una poesia, un romanzo, una coreografia… sono tutte cose inutili, non servono a niente, non sono come l’ingegneria o la medicina… eppure sono imprescindibili perché rendono l’uomo migliore. All’artista non deve importare se un romanzo viene pubblicato o rimane nel cassetto, se un quadro viene esposto in una galleria o rimane in cantina; all’artista importa solo farlo, e dopo quello farne un altro, sempre più coraggioso, sempre più profondo, essendo così fedeli alla voce che impone di farlo e non agli specchi per allodole che trasformano l’Opera in prodotto. Questo intendo per fedeltà. L’opera artistica è uno scavo interiore, altrimenti non serve a nulla. Se poi quest’opera trova la dignità della condivisione con un pubblico, ben venga, ma l’opera è, prima di tutto, un viaggio all’interno di sé, un cammino interiore che ci rende migliori, un gesto di disubbidienza a qualsiasi condizionamento pratico. Altrimenti diventa utile e non è più arte. Per questo sostengo che prima di tutto occorre essere fedeli ai sogni. Il resto viene dopo, se viene. L’arte non è soddisfazione dell’ego, ma viaggio in un mondo intangibile, rispetto per il mistero che ci anima, risposta al richiamo dei sogni”.

Stefania Del Monte (Redazione Madrid)