Giochi chiusi per il dopo May, Johnson scalda i muscoli

Johnson virtuale neo premier britannico
Boris Johnson virtuale neo premier della Gran Bretagna (The New York Times)

LONDRA. – Il sogno di una vita, nella speranza che non diventi un incubo. Boris Johnson scalda i muscoli a tutta Brexit alla vigilia della giornata destinata – salvo colpi di scena clamorosi – a decidere in suo favore il ballottaggio finale contro Jeremy Hunt per la successione a Theresa May come capo del Partito Conservatore. E, da mercoledì 24, anche come nuovo primo ministro britannico.

I giochi in realtà sono fatti. Gran parte delle schede dei circa 160.000 iscritti Tory chiamati a dire la loro con un voto postale chiusosi ufficialmente oggi pomeriggio è arrivata ormai da giorni. E in attesa dell’annuncio formale di domani l’ex ministro degli Esteri ed ex sindaco di Londra parla già da inquilino di Downing Street: a dispetto delle ostilità che lo minacciano in Parlamento, dalle opposizioni quanto della fronda “moderata” del suo partito, e che rischiano di metterlo da subito in braghe di tela.

Nella sua colonna settimanale sul Daily Telegraph, invita il Paese a riscoprire con la Brexit “il senso di una missione” e critica “i pessimisti” (un velato riferimento all’oppositore interno Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere uscente anti-brexiteer) che non credono alla possibilità di un nuovo accordo di divorzio dall’Ue “depurato’”dal backstop sul confine irlandese. Traguardo che invece egli insiste a indicare a portata di mano, sebbene senza togliere dal tavolo l’alternativa (temuta da molti) del no deal.

Ma di luna di miele non se ne parla proprio. Sul fronte internazionale Boris avrà da gestire immediatamente la crisi della ‘guerra delle petroliere’ con l’Iran, stretto fra la línea dura, ma diplomatica ribadita oggi dal suo avversario Hunt, attuale titolare del Foreign Office, e le aspettative di una maggiore sintonia con la retorica anti-Teheran – per quanto non priva di oscillazioni – dell’amministrazione Usa di Donald Trump.

Su quello domestico il primo banco di prova verrà invece dalle colombe Tory, pronte a dichiarargli sul no deal una guerra uguale e contraria a quella scatenata per mesi dalla corrente euroscettica ultrà contro la May sino all’annientamento.

A guidare la rivolta, ancor prima del cambio della guardia, sono ministri dimissionari di primo piano come Hammond o come il responsabile della Giustizia, David Gauke. Ma soprattutto sir Alan Duncan, dimessosi già oggi da viceministro degli Esteri per non essere silurato da Johnson, uomo di cui è stato in passato numero due, ma che disistima apertamente.

Duncan ha persino tentato di ottenere un minaccioso dibattito preventivo ai Comuni, per verificare l’incerta maggioranza del pretendente. Lo speaker John Bercow gli ha risposto picche, poiché nel sistema britannico il voto di fiducia non è previsto, salvo sia l’esecutivo medesimo a sottoporvisi o il maggior partito d’opposizione a chiederlo.

E tuttavia si è trattato di uno squillo di tromba, un segnale chiaro degli ostacoli che attendono il nuovo venuto, in barba alla sua baldanza e ai suoi proclami di ottimismo.

Ostacoli che potrebbero obbligarlo presto alla scommessa delle elezioni anticipate se gli umori e i numeri parlamentari rimanessero quelli odierni. E se il leader del Labour, Jeremy Corbyn, pur a sua volta azzoppato da dissensi intestini su temi come la lotta all’antisemitismo, dovesse indovinare il momento giusto per presentare quella mozione di sfiducia che tutti si aspettano comunque prima del 31 ottobre, data indicata da Boris Johnson come tassativa per uscire dall’Ue.

E che un’altra capo-partito neoeletta, la 39enne Jo Swinson – pasionaria scozzese anti-Brexit da oggi alla testa dei LibDem – attende più di ogni altro per rilanciare la sfida del referendum bis.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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