Venezuela: due presidenti, un dialogo e tanta politica

Venezuela - Due presidenti, un dialogo e tanta politica
La situazione del Venezuela, per essere risolta, richiederebbe per un momento la soppressione degli interessi politici, in favore di quelli umanitari. FOTO ANSA

Nelle scorse settimane la situazione del Venezuela, nonostante i media italiani non ne abbiano più parlato, si è mantenuta molto tesa. I “due presidenti”, ormai al limite dello scontro verbale, hanno usato tutta la loro influenza internazionale per dirottare l’opinione pubblica a favore delle loro istanze.

Secondo l’Osservatorio dei Diritti, le uniche vittime di questa strana guerra sono i cittadini venezuelani, soprattutto i bambini, ormai allo stremo. Gli omicidi continuano ad aumentare, i blackout sono all’ordine del giorno, l’economia è a pezzi e, cosa purtroppo normale in un Paese allo sbando, gli omicidi sono drasticamente aumentati.

Internazionalmente la posizione delle superpotenze sembrerebbe ormai essere chiara. Guaidó, il cui eco internazionale sembrerebbe essersi notevolmente ridotto, ha cercato di prendere contatti con la Russia (che sostiene Maduro), mentre gli Stati Uniti stanno cercando di isolare il Venezuela prendendo accordi (anche militari) con i suoi vicini. L’Unione Europea, dal canto suo, il mese scorso ha approvato una risoluzione sul Venezuela che garantisce pieno appoggio a Guaidó; una risoluzione che prevede, però, un repentino aumento delle sanzioni nei confronti dell’economia del Paese sudamericano.

Una situazione che non piace a nessuno, soprattutto a chi la sta vivendo. Il Venezuela, come è stato sottolineato più e più volte nei precedenti articoli sul tema, sembrerebbe essere diventato l’ennesimo terreno di confronto tra le superpotenze mondiali, le quali stanno mettendo in campo tutta la loro forza, diplomatica e militare, per cercare di intimidire l’avversario. Una “strana guerra” che si gioca soprattutto sui nervi e sulle dichiarazioni al vetriolo.

Nonostante tutto, i due presidenti hanno avviato un dialogo, sotto l’egida della Norvegia, per cercare di trovare una soluzione interna che risponda il più possibile alle istanze dei contendenti. Le due parti sembrerebbero molto lontane, poiché Guaidó spinge fortemente per una transizione democratica che tagli fuori l’attuale presidente, mentre Maduro, avrebbe concesso solamente delle elezioni anticipate del solo Parlamento. I due stanno discutendo animatamente alle Barbados, mentre gli altri stati sudamericani si son dati appuntamento a Lima (Perù) per discutere sul futuro della crisi venezuelana.

Il Venezuela e un confronto squisitamente politico

Come è stato già anticipato, il presidente “ad interim” del Venezuela Juan Guaidò ha cercato di agganciare dei contatti diplomatici con la Russia di Putin nella speranza di spezzare quell’asse indissolubile che, ormai da diversi anni, lega Caracas a Mosca. Lo ha ammesso il ministro degli Affari Esteri russo, Sergej Lavrov, durante un’intervista rilasciata ad un’emittente locale. La risposta della superpotenza è stata, ovviamente, negativa. Quest’ultima è stata giustificata attraverso un richiamo alla Carta delle Nazioni Unite, soprattutto ai principi di sovranità e non ingerenza esterna nelle situazioni interne. In pratica la Russia ha sottolineato come la situazione si debba risolvere all’interno dello stesso Paese, senza l’ingerenza né della Russia né tantomeno degli Stati Uniti.

Il dialogo avviato sotto l’egida della Norvegia, arbitro imparziale, tra “maggioranza e opposizione” (Maduro e Guaidó), dovrà proseguire senza che gli altri attori internazionali possano interferire spostando gli equilibri a favore dell’una o dell’altra.

Il significato di quanto dichiarato dal ministro russo è riassunto nelle tre righe precedenti. Un monito lanciato verso gli Stati Uniti che, diplomaticamente, si son mossi sia in Europa che nel Sudamerica. Nel primo caso, la presidenza Trump ha portato la Grecia a riconoscere Guaidò come legittimo presidente del Venezuela grazie ad una politica neo-atlantista avviata nei Balcani per il contenimento dell’espansionismo economico cinese; nel secondo caso, invece, l’abilissima attività diplomatica del braccio destro del presidente americano, Mike Pompeo, è riuscita ad incassare l’appoggio dei maggiori paesi latinoamericani (Brasile, Colombia, Argentina e Perù) nella lotta contro, l’ormai scomodo, “secondo presidente del Venezuela”.

Il Segretario di Stato degli USA, nella sua missione diplomatica, è riuscito ad unire sotto un unico “stendardo” (quello della causa americana contro Maduro), i paesi latinoamericani confinanti con il Venezuela. Un sodalizio raggiunto attraverso la promozione di alcuni accordi economici e soprattutto militari (come la vendita di alcuni F-16 alla Colombia ad un prezzo stracciato). Una mossa che, al suo interno, nasconde molti punti interrogativi, soprattutto alla luce delle numerose dichiarazioni di Trump sulla possibilità di intervenire militarmente contro lo stato chavista.

Una considerazione del genere è stata rafforzata da un evento in particolare: qualche mese fa il noto consigliere del presidente degli Stati Uniti, John Bolton, apparentemente per errore, ha mostrato in pubblico un block notes contenente delle bozze di piani per usare la Colombia e il Brasile come piattaforme militari per un eventuale attacco di terra contro il Venezuela.

Perché la necessità di elaborare un piano militare per attaccare il Venezuela? Soprattutto perché proprio ora che si stanno svolgendo dei dialoghi sotto l’egida di una nazione neutrale?

Delle domande a cui si potrebbe facilmente rispondere facendo riferimento alla politica volutamente bellicista della presidenza Trump. Ma nello specifico, l’elaborazione del piano risponde ad un evento verificatosi alcune settimane fa, il quale ha legittimato la volontà di Bolton di tirare fuori dal cassetto alcuni sofisticati piani militari, e soprattutto ha dato il via alla conclusione di quegli accordi diplomatici di cui si è parlato poc’anzi. L’evento in questione riguarda l’incontro di due aerei, uno di fabbricazione russa in mano all’Aeronautica del Venezuela, l’altro americano. Il primo, secondo il rapporto del Pentagono, avrebbe minacciosamente avvicinato il secondo attraverso delle “incoscienti” manovre militari miranti a provocare una risposta dei piloti statunitensi. Nello specifico il Pentagono ha sottolineato dapprima l’irresponsabilità della Russia nel fornire questi mezzi militari al regime illegittimo di Maduro, e poi l’insensato comportamento di Maduro che mina l’integrità dello Stato di diritto.

Una mossa evidentemente politica, quella statunitense, che, come detto, ha sfruttato quest’occasione per rivedere i suoi piani inerenti la gestione della crisi venezuelana.

A sottolineare la politicizzazione dell’ormai “dossier” venezuelano, c’è un altro episodio, sottolineato con veemenza dal Pentagono e dal Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti: la posizione dell’Iran.

Il rapporto tra l’Iran e il Venezuela: “due piccioni con una fava

Il sodalizio tra l’Iran e il Venezuela è ormai noto da decenni. I due paesi sono membri dell’OPEC, e tendenzialmente si trovano su posizioni allineate all’interno dell’organizzazione in questione (come la comune posizione anti-saudita). Il consigliere di Trump, John Bolton, è un duro sostenitore del fronte della fermezza contro il Venezuela e l’Iran e, sfruttando una foto di Maduro con il ministro degli Affari Esteri iraniano, Javad Zarif, durante il vertice dei paesi non allineati (NAM), ha colto l’occasione di rivolgere un doppio attacco al paese arabo: “Qualcosa mi dice che Zarif si sentiva a casa a Caracas come ospite del regime illegittimo di Maduro”.

Si potrebbe ironicamente sottolineare come John Bolton, col suo duplice attacco, abbia preso “due piccioni con una fava”. Infatti un’occasione del genere ha dato la possibilità agli USA di rivolgersi contro i suoi due principali nemici del momento: il Venezuela dell’illegittimo Maduro e la Repubblica islamica mediorientale con mire espansionistiche contro cui gli USA hanno ingaggiato un confronto partito dal ritiro dall’accordo sul nucleare, di cui (manco a farlo apposta) il ministro Zarif è un simbolo (per averlo trattato per un paio d’anni) e sfociato sul confronto nello stretto di Hormuz.

A questo proposito, nella già citata opera diplomatica sudamericana intrapresa da Mike Pompeo, è stata inserita una “clausola anti-Iran”, la quale prevede l’obbligo da parte di Colombia e Brasile di non far attraccare navi iraniane all’interno dei loro porti poiché sospettate di fornire materiale militare e non al Venezuela e al presidente Maduro. Inoltre, sempre all’interno di questa collaborazione, i paesi sudamericani hanno assicurato agli Stati Uniti che faranno di tutto per evitare l’ingresso degli Hezbollah (terroristi libanesi finanziati dagli iraniani secondo fonti americane) all’interno dei confini venezuelani.

Nel frattempo, al di là dei risvolti squisitamente politici della vicenda che nascondono interessi di sorta (soprattutto economici per i russi, petroliferi per gli americani) la situazione interna si è fatta insostenibile. L’economia arranca e i diritti…pure.

Il Venezuela e il disastro economico-sociale

Le industrie venezuelane, da sempre soggette più delle altre ai repentini sbalzi d’umore causati dalla precaria stabilità economico-finanziaria del paese, hanno dovuto drasticamente ridurre il personale e l’attività commerciale. Il 14% di suddette imprese ha chiuso e lo stipendio medio di un lavoratore si aggira sui 4 euro al mese. Secondo “Confindustria Venezuelana”, negli ultimi vent’anni quattro quinti delle imprese del Venezuela hanno chiuso i battenti e l’84% di chi aveva un lavoro l’ha perso.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) parla di “totale collasso dell’economia”. Certo, parrebbe che l’iperinflazione sia “finita” (come annunciato dall’Assemblea Nazionale, in mano all’opposizione) ma i prezzi continuano a restare proibitivi e il salario minimo continua a mantenersi sui 3 dollari al mese. Il bolivar, moneta locale, ormai conta meno di zero, tant’è che le regioni confinanti con Brasile e Colombia non lo accettano più e le famiglie fanno affidamento agli aiuti internazionali che continuano a giungere dai paesi solidali (tra cui l’Italia) e al mercato nero, il quale ha ormai raggiunto proporzioni inimmaginabili. L’insostenibile crisi economica ha portato il presidente Maduro ad aggirare le sanzioni americane attraverso la vendita dell’oro. Infatti nei periodi più cruenti dell’insofferenza economica, si è registrato un aumento dell’estrazione di questo metallo. Un’estrazione che ha dato vita all’ormai tristemente noto sterminio dei minatori, il tutto per ottenere quello che viene definito “oro de sangre”. Solo nella giornata del 12 luglio Maduro, in una vera e propria sfida all’imperialismo americano, ha venduto 40 milioni di dollari in oro estratto nel tentativo di ridurre le riserve in dollari. Quegli stessi dollari che, però, gli assicurano l’appoggio di parte delle forze armate.

Al genocidio dei minatori, si aggiungono le ripetute violazioni dei diritti umani, i blackout e, secondo Medici senza frontiere, il riemergere della malaria, figlia della carente assistenza sanitaria e, quindi, del clima di guerra esistente all’interno del paese.

La violazione dei diritti umani, infatti, ha dato il via ad una situazione di dilagante violenza da parte delle forze armate e della criminalità organizzata che ha fatto vertiginosamente aumentare il numero di omicidi per abitanti. 53 ogni 100.000 un numero esorbitante, a cui si collega quello dei femminicidi (quindicesima nazione col numero più alto). Una situazione che ha allarmato l’ONU e l’Osservatorio dei diritti, i quali hanno più volte intimato il Venezuela a porre fine a questa perenne situazione di “guerra di tutti contro tutti”.

La posizione dell’UE (e dell’Italia): una letale ambiguità

Qualche tempo fa, in un precedente articolo, sottolineavo come il nostro Paese non avesse ancora preso una posizione decisa sul dossier venezuelano. Ancora oggi, dopo diversi mesi, la situazione non è mutata.

Al di là di qualche dichiarazione isolata del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e di quello degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, la posizione italiana non è ancora chiara a causa della contrapposizione esistente all’interno della maggioranza di governo tra i leghisti (pro-Guaidò) e i pentastellati (pro-Maduro). Una contrapposizione che si è affermata anche in seno al Parlamento Europeo, il mese scorso, in occasione dell’approvazione di una risoluzione che, da un lato riconosceva Juan Guaidò come legittimo presidente del Venezuela, e dall’altro chiedeva agli Stati membri di applicare sanzioni supplementari contro il regime di Nicolás Maduro.

A fronte delle continue asserzioni dell’attuale Ambasciatore italiano in Venezuela, Placido Vigo, sulla difficoltà della situazione degli italiani in loco, il governo Conte continua a prendere tempo a causa della sua ambigua politica estera e della volontà di “tenere un piede in due scarpe” (un piede in Oriente – Russia e Cina – e l’altro in Occidente – USA e UE -).

Ma rispetto a qualche mese fa, le varie posizioni all’interno dell’UE sulla vicenda sono cambiate, a dimostrazione che la geometria delle alleanze possiede un’infinità di variabili. La Germania di Angela Merkel sembrerebbe aver scaricato il presidente ad interim Juan Guaidó, ristabilendo relazioni diplomatiche con il governo di Nicolás Maduro. Un voltafaccia che, se verificato, sarebbe l’ennesimo emblema di un’Unione Europea incapace di concepire una politica estera comune. Un crogiolo di stati che, spinti dai loro singoli e bramosi interessi, sarebbero pronti ad abbandonare le istanze di un popolo allo stremo.

Come si evince da questa lunga digressione, il dossier venezuelano è un contesto che non sorride per niente alla gente comune, italiana e non, poiché si sa che le vittime preferite delle guerre, purtroppo, sono i civili. La politica, nelle sue mille sfaccettature, tende sempre a minimizzare la vita e i bisogni della popolazione civile, in favore dei sopracitati “interessi di sorta”. La speranza, espressa fin dal primo articolo, è che il dialogo tra i due presidenti possa proseguire fintantoché venga trovato un accordo che soddisfi entrambe le parti, escludendo, almeno per un momento, i giochi di potere in atto, per il bene di coloro che più di tutti sono coinvolti in questa triste diatriba: i venezuelani.

Donatello D’Andrea