L’ennesima trovata di musiú Carmelo

!Il musiú Carmelo con la sua Ford si pavoneggia per le stupende vie acciottolate della cittadina coloniale!.
!Il musiú Carmelo con la sua Ford si pavoneggia per le stupende vie acciottolate della cittadina coloniale!.

Carora[1], Stato Lara, millenovecentotrenta, anno domini. La cittadella in stile coloniale è luogo di ritrovo di uomini sognatori disposti a progredire grazie allo sforzo delle proprie braccia muscolose e delle loro menti sveglie e sempre vigili. Non è estranea ai movimenti studenteschi in corso a Caracas, dove giovani dai baschi blu[2] lottano per disfarsi del satrapo, signore di tutte le ricchezze del paese, ma la distanza dalla capitale porta gli abitanti a pensare meno alla politica e a cercare come rendere più piacevole il tempo libero. Infatti, da quando nel villaggio si è affermata l’egemonia di musiú Carmelo, la monotonia è acqua passata: sono stati avviati laboratori di pittura, scuole di musica per persone di ogni età, alloggi che ospitano anziani indigenti, negozi di abbigliamento alla moda per il diletto dei più giovani, e molte altre attività ancora. In fondo, non è che sia cambiata del tutto la vita bucolica tra gli alti pioppi traballanti dalle ampie foglie e fiori variopinti, i samanes[3] centenari e corpulenti simili alle sagome dei giganti dei racconti infantili, gli uccelli cardinali che abbondano in collina, e i fiumi in piena dove i capibara s’immergono a schiere per sfuggire al sole. No. Soltanto che ora è tutto più dinamico e la gente è sempre più avida di novità.

In pochi ricordano l’arrivo a Carora di Carmelo Spacca-vento, meglio conosciuto con il nomignolo affettuoso di musiú Carmelo. Era appena un bimbo quando giunse con uno zio da Marsala, scenario anni addietro dello sbarco di un piccolo esercito di volontari che, sotto il comando dell’Eroe dei due mondi, intraprese la vittoriosa campagna contro i Borboni. Lo aveva preso in custodia nel suo fondo un ricco possidente della zona a cui madre natura aveva impedito di mutare in figli il fiume di sperma che quotidianamente versava nei ventri delle donne più belle del Tocuyo. Per questo, con il passar del tem-po, si affeziona al grazioso italianito, al quale non solo paga gli studi elementari che, all’epoca, equivalevano a una prodezza riservata a pochi eletti, ma, addirittura, quando era sul punto di espirare, nel suo capezzale manifesta al notaio la volontà di lasciare tutti i suoi beni a Carmelo Spaccavento, con l’unica riserva che questi non abbandoni, né venda, né alieni le feconde terre concesse a suo nonno dal leggendario Generale Jacinto Lara[4], come ricompensa per i servizi resi alla patria.

Il giovane non solo rispetta la volontà del suo amato benefattore, ma in pochi anni consolida il fondo coltivando, al di là dei pascoli, alberi da frutto e verdure d’ogni specie. Carora diviene, insomma, un importante centro di raccolta agri-cola e culturale. Infatti, intanto che progrediva con le sue terre, il musiú Carmelo, ricordando la banda del suo paese in Sicilia che accompagnava la processione del santo, promuove e patrocina una scuola di musica che diventa famosa in tutto il Venezuela formando chitarristi, arpisti e cuatristas[5], che con il tempo si distingueranno per il loro indiscutibile virtuosismo. Costruisce, inoltre, un campo da calcio, che è uno sport del tutto sconosciuto, e una pista attorno per le corse di cavallo che invece attira più adepti. Infine, molte cose si concretizzano col tempo finché un giorno gli viene in mente la più stravagante.

Da Caracas arriva un giovane che dice di essere un suo paesano, e che lo cerca per dargli notizie della sua famiglia.

− Salve, signor Carmelo − lo saluta quando una persona gentile dalla piazzola lo accompagna fino alla sua dimora. − Sono Robertino, il figlio di Antonio Filippone, il suo amico d’infanzia lì a Marsala.

L’uomo si commuove al sentire il nome del suo paese natale, e gli fa un’incredibile tenerezza il ricordo di quell’amico con cui condivideva i giochi ingenui dei primi anni di vita. Così, per un po’, persistono davanti ai suoi occhi le immagini del lontano passato, e sente nella sua anima una profonda nostalgia che quasi lo rattrista.

− Benvenuto, figliolo − gli risponde dopo essersi ripreso. − È un enorme piacere. Sarà stato un duro viaggio, suppongo, per arrivare fin qui. Spero che ti trattenga un po’ con noi.

− Non credo di potermi fermare per molto − replica il giovane d’istinto. − Ho lasciato un apprendista nell’officina di Caracas che non è ancora molto pratico per soddisfare un’emergenza. Sono ogni giorno di più le auto che circolano per strada, e i signori proprietari diventano impazienti quando non viene subito riparato un guasto.

All’ascoltare di auto e meccanici, comincia ad agitarsi sulla sedia musiú Carmelo, segno che gli sta balenando qualcosa nella testa fantasiosa, sempre all’erta, come quella di un felino davanti a un branco di cervi nella prateria.

− Dimmi una cosa, giovanotto − ribatte subito − dove posso procurarmi un’auto da usare qui a Carora?

− Il problema, signor Carmelo, non è dove poterla comprare, perché sarebbe molto semplice − gli risponde Roberto seriamente − se non come portarla fin qua. Le strade non sono adatte. Sono angusti i sentieri e abbondano le pietre come le ghiande sulle querce.

Non si dà per vinto l’immigrato, famoso per la sua testardaggine se gli viene un capriccio. Si rinchiude nella sua stanza, com’è solito fare se ha bisogno di silenzio per pensare in santa pace, ed esce solo il giorno dopo quando il giovane paesano è già seduto a tavola per la colazione, e per dargli le notizie che porta della sua famiglia.

− Dunque, signor Carmelo − comincia a dirgli appena l’uomo prende posto a tavola di fronte a lui. − Vado via tra un po’ perché il cammino del rientro è lungo. Ecco le lettere che gli mandano i suoi fratelli. Mi scusi se ho aspettato quasi un anno per consegnargliele, ma il fatto è che…

Non gli dà il tempo di finire la frase, poiché è un altro il discorso che al signore preme intavolare.

− Ascolta, giovanotto − dice in un tono più pacato, come un padre che parla al figlio per convincerlo di qualcosa. − Ho pensato molto su come fare per trasportare a Carora un’auto sulla quale percorrere il fondo che, per la sua estensione, impiego adesso, a cavallo, diverse ore. Ho bisogno del tuo aiuto per concretizzare il progetto.

Gli espone il piano in dettagli, e propone a Robertino di tornarsene a Caracas in una carrozza trainata da quattro briosi buoi, con lo scopo di utilizzarla per portarsi poi, da lì, l’autovettura smontata pezzo a pezzo.

− Portati questo sacchetto pieno di monete − continua a dire senza dare all’altro la possibilità di esprimere le sue perplessità. − Sono abbastanza soldi. Ti serviranno per comprare l’automobile, per le spese durante lo smontaggio ed anche per il viaggio di ritorno, che spero sia al più presto.

− Ma, signor Carmelo − azzarda a dirgli il giovane, cogliendo l’attimo in cui l’uomo si porta alla bocca la tazzina di caffè ormai freddo − io non posso trascurare la mia officina, i miei clienti, i miei impegni…

− Lascia perdere simili stronzate, figliolo − lo interrompe ancora, quasi gridando. − Se vuoi fare fortuna in questa terra, metti da parte il romanticismo, i piagnistei e le esitazioni. Le occasioni vanno prese al volo. Ed io te ne sto offrendo una. Su, vai. Sistema le tue cose, ché è ora di partire. Quando farai ritorno, vedremo come sistemarti. In questa cittadina, il futuro è un libro aperto, senza enigmi, per coloro che non voltano le spalle alla voglia di guardar lontano. E ancor di più, se hanno la benedizione di Carmelo Spaccavento.

Roberto si fa convincere. Compra, infatti, l’auto nuova, una Ford Voiturétte di color grigio scuro e, con lo stupore del suo giovane garzone, anche lui siciliano appena sbarcato, comincia a smontarla, pezzo dopo pezzo, a porte chiuse nel suo garage. Così come procede nella mansione, va imballando le varie parti in casse di legno fino a culminare l’opera dopo circa un mese. Carica, infine, le suddette casse nella carrozza e si congeda dall’apprendista al quale promette che se a Carora avrà l’opportunità di un buon affare, glielo farà sapere per ritrovarsi e lavorare insieme.

Arrivato al fondo, il giovane meccanico rimonta l’automobile. Impeccabile il risultato. Senza una grinza. Come il vestito uscito da sotto il ferro da stiro di un sarto esperto. Una vettura splendida, tenuta in segreto, finché un bel giorno, dopo essersi accertato di poterla guidare senza contrattempi, Carmelo Spaccavento la caccia dal suo rifugio, e si pavoneggia per le stupende vie acciottolate della cittadina coloniale. L’intero paese esce dalle case per ammirare quella bella carrozza che va da sola, senza bisogno dei cavalli che la trainino. I bambini, dal canto loro, fanno un grande chiasso attorno all’automobile. Un anziano che guarda da lontano, senza poter nascondere lo stupore stampato sul suo volto color del cioccolato, dice a un altro seduto su una panchina della piazza: “Eccola lì, compare, l’ennesima trovata di musiú Carmelo. Se non fosse per lui, questo paese sarebbe ancora la perfetta dimora dei fantasmi e delle apparizioni…”.


[1] Carora è una città venezuelana situata nello stato Lara, sorge a sud della città di Barquisimeto sulle rive del fiume Morere Carora, un affluente del Tocuyo, e ha una popolazione stimata di circa 97.000 abitanti.

[2] La boina azul (basco blu) è uno dei simboli dell’Università Centrale del Venezuela (UCV). Nella storia venezuelana, gli studenti hanno sempre avuto un ruolo predomi-nante nelle lotte per la costruzione di un paese libero e democratico.

[3] Albero emblematico che raggiunge i 20 metri di altezza. Rappresenta un simbolo nazionale del Venezuela.

[4]Juan Jacinto Lara Meléndez (Carora, 1778 – Barquisimeto, 1859) fu un militare venezuelano che lottò per l’Indipendenza delle allora colonie spagnole, dal 1810 a Caracas fino al 1824 ad Ayacucho. Lo stato Lara (nella regione centro-occidentale del Venezuela) prende il nome in suo onore.

[5]Cuatrista è il suonatore del cuatro, un tipico strumento musicale latinoamericano, simile alla chitarra, un po’ più piccolo, a quattro corde, da cui il nome.