Cina avverte: “A Hong Kong l’uso della forza è un’opzione”

Poliziotti cinesi anti-proteste
Agenti della polizia cinese anti-proteste. (Tgcom24-MediasetPlay)

PECHINO.- Alla fine della decima settimana di fila di proteste, l’avvertimento più minaccioso di Pechino al movimento pro-democrazia di Hong Kong è arrivato attraverso i media ufficiali: l’uso della forza e un’opzione, non ci sarà una “ripetizione dell’incidente politico del 4 giugno del 1989” (la repressione nel sangue di piazza Tiananmen, citata in modo assolutamente inconsueto) e il raduno in corso delle forze paramilitari cinesi a Shenzhen è presentato per la prima volta come “un chiaro monito ai rivoltosi”.

Il Global Times, tabloid del Quotidiano del Popolo (la “voce’”del Partito comunista cinese), punta il dito in un editoriale – dall’eloquente titolo “Inutile per Washington giocare la carta Hong Kong” – soprattutto contro gli Stati Uniti che “non saranno in condizioni di intimidire la Cina usando i tumulti di 30 anni fa. La Cina è molto più forte e più matura, e la sua capacità di gestire le situazioni complesse è fortemente cresciuta”.

Gli umori veicolati dal Global Times e dai media ufficiali impegnati in un’aggressiva campagna di sostegno alle posizioni cinesi, soprattutto sui social media occidentali banditi in Cina (Facebook in testa), cadono alla vigilia di un altro weekend ad altissima tensione dopo i violentissimi scontri all’aeroporto di Hong Kong tra polizia e manifestanti.

Questa sera, centinaia di persone si sono ritrovate a Chater Garden, nel centro, a chiedere il sostegno internazionale su iniziativa dei leader studenteschi di 12 istituzioni.  Lo scopo è sollecitare il Congresso Usa ad approvare l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act che punirebbe tutti i funzionari accusati di mettere a rischio la libertà della città.

Bandite alcune iniziative fissate per domani, domenica è invece la volta del raduno al Victoria Park del Civil Human Rights Front, il gruppo di attivisti che ha promosso finora le più grandi mobilitazioni superando i due milioni di partecipanti e che ora s’è visto bocciare la richiesta di marciare fino a Chater Road per la “seria minaccia alla sicurezza pubblica”.

Sui social media si moltiplicano gli appelli per una manifestazione “razionale e non violenta”, scongiurando accuse da Pechino.”Domenica ci dovrebbe essere un’altra marcia con milioni di persone. La gente di Hong Kong non può essere sconfitta”, ha scritto su Facebook, Claudia Mo, parlamentare pro-democrazia.

Perché se un intervento di forza della Cina costituirebbe, secondo molti analisti, un pesante colpo alla sua reputazione e un disastro economico non solo alla città (ieri sono state varate misure extra budget da oltre un miliardo di dollari a fronte di un crollo della crescita stimata a 0-1%), restano un’incognita le prossime e temute mosse che potrebbero essere decise dalla leadership del Partito comunista cinese.

Il presidente Usa Donald Trump è tornato con insistenza sulle vicende di Hong Kong fino a suggerire all’omologo Xi Jinping di incontrare i manifestanti e risolvere la crisi “con umanità”. Un affronto che ha rafforzato a Pechino la convinzione d’ingerenza.

Intanto, Cathay Pacific ha annunciato l’uscita del Ceo Rupert Hogg a distanza di pochi giorni dalle aspre critiche della Cina sulla compagnia aerea basata a Hong Kong per l’appoggio del suo personale, tra cui i piloti, alle proteste pro-democrazia.

Più di un magnate di Hong Kong ha comprato spazi sui quotidiani per gli appelli al “cessate il fuoco”. Da ultimo, Li Ka-shing, l’uomo più ricco dell’ex colonia che ha fatto pubblicare un messaggio criptico su cui i social media si sono scatenati suggerendo anche la seguente interpretazione: “Il Paese decide le conseguenze, consentite a Hong Kong di governarsi da sola”.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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