Zingaretti in stallo, non si fida né di M5s né di Renzi

Il Segretario del Pd, Nicola Zingaretti, durante la conferenza stampa dopo le votazioni europee.
Il Segretario del Pd, Nicola Zingaretti, durante la conferenza stampa dopo le votazioni europee. ANSA/CLAUDIO PERI

ROMA. – Gli ondeggiamenti di M5s sullo sviluppo della crisi di governo tengono con il fiato sospeso il Pd, a partire dal segretario Nicola Zingaretti, sempre più cauto se non scettico, sulla rottura tra Lega e pentastellati e sulla successiva intesa tra questi ultimi e i Dem.

Una prospettiva su cui lavorano invece diversi altri dirigenti del Pd, con in testa Dario Franceschini, che già il 22 luglio lanciò l’ipotesi, ora fatta propria anche da Matteo Renzi, il cui attivismo però mette in sospetto il Segretario. Tra domenica e lunedì sono tornati a Roma tutti i dirigenti del Pd, in vista del discorso di Conte al Senato, con Zingaretti che ha avuto una serie di incontri al Nazareno.

Nessuno ha voluto parlare con i cronisti a taccuini aperti, sbilanciandosi sugli sviluppi della crisi, nel dubbio che essa alla fine rientri. “Attendiamo le dichiarazioni di Conte e l’apertura della crisi” ha dichiarato nel pomeriggio Zingaretti. La lettura di molti dirigenti Dem, è che a frenare possa essere Luigi Di Maio, che probabilmente in un governo M5s-Pd-Leu perderebbe se non il posto almeno la centralità.

I Dem che credono alla prospettiva dell’intesa puntano quindi su Conte che sicuramente avrebbe un ruolo in futuro, anche se non a Palazzo Chigi. Naturalmente, specie intorno a Zingaretti, c’è anche chi preferirebbe le elezioni, per avere all’indomani dei gruppi parlamentari che rispecchino la nuova maggioranza post congressuale del Pd.

I dirigenti del Pd che hanno contatti con gli esponenti di M5s (“in questa fase tutti parlano con tutti”, ha detto un importante esponente Dem), come i capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio, cercano di convincere gli interlocutori con un ragionamento semplice: tutti nel Pd, dopo l’apertura ufficiale della crisi, sono favorevoli ad una intesa (tranne Carlo Calenda), da Renzi a Prodi, anche se Zingaretti è scettico; questa unanimità garantisce il fatto che non si tratterebbe di una crisi “al buio”, e che semmai “al buio” sarebbe il proseguimento dell’esperienza con la Lega, con Salvini pronto a rompere magari già ad ottobre sulla legge di Bilancio.

Anche su quest’ultima poi la Ue sarebbe più ben disposta con un governo i cui partiti hanno votato per Ursula Von der Leyen, che non con uno a forte ipoteca sovranista.

La prima condizione per aprire una interlocuzione, dunque, sono le dimissioni da Mattarella da parte di Conte domani, dopo le comunicazioni in Senato: “a quel punto – ha detto Zingaetti – alla Direzione del 21 riaffermeremo una posizione chiara: o nel corso delle consultazioni si verificano le condizioni per un governo forte e di rinnovamento anche nei contenuti o è meglio il voto”.

E il “rinnovamento” riguarda la linea rispetto al governo giallo-verde, a partire dall’immigrazione. L’altra ambascia di Zingaretti riguarda Renzi: dopo il repentino cambio di idea sull’intesa con M5s, non ce ne potrebbe essere ancora un altro magari già sulla manovra? Per questo, come suggerisce Francesco Boccia, sarebbe utile e opportuno che nel futuro governo siano inseriti dei ministri “renziani” per blindare la tenuta dell’esecutivo.

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