Pd e M5s: tattica e sospetti, due ore vicini al fallimento

Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio addresses the media in conferenza stampa dopo le consultazioni con il presidente Sergio Mattarella.
Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio addresses the media in conferenza stampa dopo le consultazioni con il presidente Sergio Mattarella. ANSA/ETTORE FERRARI

ROMA. – Due ore vicini al baratro. Pd e Cinque stelle hanno costruito un giornata thriller moltiplicando diffidenze e sospetti che con tutta probabilità hanno irritato il presidente Mattarella, costretto a prendersi due ore di riflessione prima di sciogliere il nodo e concedere più tempo alle parti. E quindi solo alla fine si parte.

Piano, ma si parte. Con un incontro tra i capigruppo M5S e una delegazione Pd formata dai capigruppo e dai zingarettiani Paola De Micheli e Andrea Orlando. Con i due leader, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, che al momento restano dietro le quinte, bloccati tra sospetti reciproci e, nel caso del segretario Dem, divisioni interne che irritano anche il Movimento.

E la giornata in cui parte la trattativa per il governo giallo-rosso ha tratti bipolari: stop & go di contatti tra esponenti di punta Pd e M5S accompagnati dalla sensazione che da un momento all’altro possa franare tutto. Con un nodo, per ora tenuto coperto, su tutti: quello del premier, che vede il M5S intenzionato più che mai a piegare il suo potenziale alleato sul nome di Giuseppe Conte.

Nel Movimento la giornata del primo sì al Pd inizia male: le tre condizioni fatte filtrare dai Dem fanno andare su tutte le furie i pentastellati. “Il Pd non può dettarci le condizioni, siamo noi la maggioranza relativa”; è il sentiment che filtra prima della salita al Colle di Di Maio. E’ il “no al taglio dei parlamentari, sul quale il Pd poi ripiega, il paletto che per il M5S non permette neanche l’inizio della trattativa. E, ancora a sera, la condizione dell’ok del Pd al taglio viene definita “imprescindibile”.

Dalle parti dei Dem sale invece l’irritazione per il prolungarsi del tatticismo grillino che non esplicita mai nettamente la chiusura definitiva del rapporto con la Lega. Tanto che Matteo Salvini anche dal Quirinale ricorda platealmente che la porta della Lega ai Cinque stelle è sempre aperta.

Sul taglio dei prlamentari i Dem affiancano la necessità di una riforma elettorale che, invero, nel Movimento non è troppo invisa: un proporzionale, nei mesi del dominio della Lega e del centrodestra, conviene sia al Pd sia al M5S. Di Maio, per l’intera giornata, sceglie di non esporsi.

Va al Quirinale con l’intenzione di non nominare neanche il Pd dopo le consultazioni, cosa che irrita non poco i Dem. Si attiene ad una linea che i vertici del Movimento definiscono “responsabile” spiegando che il capo politico ha messo davanti a sé prima gli interessi del Paese e poi quello del Movimento.

Ed è con l’arma di questa responsabilità che il M5S proverà a spiegare al suo elettorato il cambio repentino di governo. Additando un solo colpevole: Matteo Salvini. Quello del leader della Lega, per Di Maio, resta un tradimento in questo momento difficilmente ricucibile.

Certo, in linea teorica il forno leghista non è totalmente chiuso. Mattarella, nel suo intervento, parla di altri partiti che “hanno chiesto ulteriore verifiche”, pur senza nominare la Lega. E a conferma della chiusura non ancora definitiva del M5S c’è un dato: Di Maio, per ora, non si espone. Non sarà presente, salvo colpi di scena, al primo contatto con il Pd e all’assemblea non è lui, inizialmente, ma Stefano Patuanelli a chiedere il mandato a trattare con Zingaretti.

C’è, tuttavia, il presidente Sergio Mattarella con cui fare i conti. Il Quirinale – probabilmente sconfortato per le ambiguità della giornata – ha dato a M5S e Pd cinque giorni per siglare un accordo e, nelle due ore di “riflessione” che Mattarella si prende dopo le consultazioni fioccano, a quanto riferiscono fonti parlamentari, i contatti con Pd e M5S per capire in maniera chiara quali siano le loro intenzioni.

Non è un ultimatum, ma quasi. E ha funzionato. Il mandato dell’assemblea a trattare arriva 5 minuti prima delle dichiarazioni di Mattarella in una successione di orari dove nulla è lasciato al caso. Ora toccherà a M5S e Pd sciogliere i nodi che si celano dietro al punto del taglio dei parlamentari: quello del premier, innanzitutto. I

l veto di Zingaretti al Conte-bis resta, sebbene il M5S non ceda. E circola, con una certa insistenza, l’ipotesi di un terzo nome, donna: con Marta Cartabia e Paola Severino tra i profili più quotati. Con un rumor inaspettato che emerge in serata: quello di Di Maio premier.

Poi c’è una squadra di ministri da comporre, con Di Maio ben poco intenzionato a lasciare indietro i suoi fedelissimi. E il nodo di un Pd diviso: “noi dobbiamo aprire con chi parlare, tra renziani, zingarettiani e altri”, mormorano nel M5S. Ma il dato è tratto. A fine assemblea i volti dei big Cinque Stelle tradiscono una convinzione: con il Pd ci si prova.

(di Michele Esposito/ANSA)

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