Visco: “Basta usare Ue e immigrati come capri espiatori”

Due lavoratori inmigrati raccolgono carote nel campo. (Santalessandro.org)

ROMA.  – Basta indicare come “capri espiatori”, per la nostra mancata crescita o la burocrazia, l'”Europa, la finanza, i mercati, gli immigrati”, occorre invece un “piano di misure” che riporti l’Italia a crescere affrontando innanzitutto due grandi urgenze: la crisi demografica e la rivoluzione tecnologica dove siamo in ritardo.

Archiviata la stagione dello scontro permanente contro tutto e tutti del precedente governo (con il quale i rapporti sono stati altalenanti ma certo non idilliaci) il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco lancia una serie di moniti per il nuovo esecutivo ma più in generale per il mondo delle imprese, le banche e la società italiane.

Occorrono quindi misure “sia sul lato dell’offerta sia su quello della domanda” spiega il governatore che smonta due temi fondamentali del primo esecutivo Conte e soprattutto della componente leghista (senza tuttavia mai nominarli): la riduzione dell’età pensionabile e l’immigrazione che toglie lavoro agli italiani o ne schiaccia verso il basso i salari.

“L’immigrazione può dare un contributo alla capacità produttiva del Paese. Gli studi non rilevano effetti negativi dell’immigrazione sui lavoratori del paese ospitante né in termini di tassi di occupazione né di livelli retributivi, può anzi avere un impatto positivo sui tassi di partecipazione e sul numero di ore lavorate dalle donne italiane”.

Certo comunque, rileva il governatore “vanno affrontate” “le difficoltà nell’integrazione e nella formazione” e “nell’attirare lavoratori a più elevata qualificazione” come peraltro già stanno facendo Germania e Giappone.

Per Visco infatti il nostro paese ha in arrivo una grande nube: il calo demografico con “implicazioni pesantissime su debito e pil”. L’invecchiamento della popolazione aumenterà le uscite su pensioni e assistenza ma avrà “meccanicamente” anche un impatto sul Pil.

“La riduzione della popolazione attiva prevista dall’Eurostat si tradurrebbe in assenza di un aumento della produttività del lavoro, in una diminuzione cumulata del Pil compresa tra il 7 e l’8 per cento nei prossimi trent’anni”.

E poi il nostro Paese rischi di perdere un altro treno: quello della rivoluzione tecnologica. Diverse sono le cause e forse, per una volta, non è l’infrastruttura e vari gli attori coinvolti. “Nei 25 anni che hanno preceduto la crisi, gli investimenti nelle nuove tecnologie sono stati modesti e le imprese hanno innovato in misura insufficiente” anche a causa della maggiore presenza delle Pmi.

“Il ritardo si estende al settore finanziario” aggiunge. Sebbene le banche italiane stiano ampliando le offerte online tuttavia “dove la risposta delle banche non sta avvenendo con la necessaria rapidità è nel campo dell’utilizzo delle tecnologie più complesse (fintech), che stanno trasformando la struttura stessa dell’industria finanziaria”.

(di Andrea D’Ortenzio/ANSA)