Fuga cervelli, Iavarone: “La ricerca in Italia isolata”

Lo scienziato Antonio Iavarone all'Unisanni
Lo scienziato Antonio Iavarone all'Unisanni

ROMA. – Un’agenzia di ricerca per rilanciare la scienza in Italia non basta: “Il vero problema è il sistema della ricerca nel Paese, attualmente isolato a livello internazionale. Bisogna creare un sistema indipendente e l’unico modo per riuscirci è creare rapporti internazionali”.

Così ha commentato la proposta del governo di un’Agenzia ricerca italiana per contrastare la fuga dei cervelli Antonio Iavarone, oggi alla Columbia University di New York e che circa 20 anni fa, dopo il caso di nepotismo che lo ha costretto a lasciare il Paese, è diventato il simbolo dei cervelli fuggiti dall’Italia.

“Non basta istituire un’Agenzia della ricerca: il problema è chi deve gestirla e, soprattutto, come lo farà. Continuare a fare valutazioni finte, come si fanno adesso molto spesso, non potrà cambiare nulla. Si deve evitare di mercanteggiare”.

Forte della sua lunga esperienza di lavoro negli Stati Uniti e dei suoi contatti internazionali, Iavarone sa bene che “la ricerca dovrebbe essere una priorità assoluta per la rinascita di qualunque speranza di innovazione di un Paese. Purtroppo – ha aggiunto – da molto tempo in Italia è stata completamente dimenticata”.

Il primo passo da fare è perciò abbattere “l’indifferenza” verso la ricerca e rinnovare completamente il sistema che oggi la governa. Un passo ulteriore, ha proseguito Iavarone, è “realizzare grandi progetti e grandi centri capaci di attrarre in Italia i migliori ricercatori del mondo perché – ha rilevato – i ricercatori validi vanno dove trovano altri colleghi validi impegnati su progetti di grande livello. Si tratta di puntare sia sulle infrastrutture sia sul capitale umano”.

Questo significa costruire in Italia “una massa critica” che sia attrattiva, non solo per i cervelli fuggiti. “Purtroppo – ha proseguito – la realtà è che i progetti di ricerca italiani sono gestiti molto spesso da realtà locali e svincolati dal sistema internazionale”.

Serve anche una burocrazia molto più snella e, non ultimo, “un sistema di reclutamento che sia attraente per i ricercatori che sono all’estero e che soprattutto abbandoni il clientelismo, tanto maggiore quanto più è alto il livello della posizione, così come i concorsi il cui esito è quasi sempre predeterminato sulla base della fedeltà a un gruppo”.

(di Enrica Battifoglia/ANSA)

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