“Assad è il male minore ma addio al sogno curdo”

Tre combattenti delle milizie curdo-siriane Unità di Protezione Popolare (YPG) vicino a Kobane, (Ahmet Sik/Getty Images)

BEIRUT. – Amarezza, sconforto e tanta confusione sono i sentimenti che in queste ore dominano il mondo dell’attivismo civile curdo-siriano nel nord-est del paese, investito prima dall’offensiva turca e, da 24 ore, al centro di un accordo militare tra forze curde e regime di Damasco.

In base all’intesa, mediata dalla Russia, le truppe governative siriane sono uscite dalle loro caserme a Hasake e Qamishli, le due città principali dell’estremo nord-est siriano. E hanno inviato sparuti ma simbolici contingenti verso il confine turco. Altre truppe siriane hanno varcato l’Eufrate, dirigendosi libere verso altri settori del confine turco.

Le autorità politiche curdo-siriane insistono nel ricordare che l’accordo con Damasco è prettamente “militare”: riguarda il via libera alle truppe siriane lungo la frontiera, ma non lede l’autonomia amministrativa e politica curda nel nord-est.

“Questo è tutto da vedere. Ora tornano i soldati, e con loro si rivedono i simboli del potere centrale che per decenni ci ha oppresso”, afferma Evin, pseudonimo di un’attivista di Qamishli, impegnata da giorni a soccorrere le famiglie degli sfollati giunti dalle zone dell’offensiva turca.

Evin era scesa in Piazza nelle proteste popolari anti-governative del 2011 e del 2012. Ha poi preso parte alle varie forme di resistenza civile contro l’Isis nel nord-est. “La vittoria contro Daesh ci aveva dato speranza di poterci finalmente concentrare sul progetto di autonomia”, aggiunge interpellata dall’ANSA.

“L’autonomia non ha mai significato separarci dalla Siria”, aggiunge. “Siamo siriani. Ma voglio vivere liberi, nel rispetto della nostra comunità curda”.

L’offensiva militare turca e l’arrivo delle milizie arabo-siriane filo-Ankara ha però cambiato ogni prospettiva. “Le priorità sono cambiate di nuovo”, afferma Berhem, pseudonimo di un militante politico curdo di Hasake. “Erdogan ci vuole tutti morti”, ha detto in riferimento al presidente turco.

“Gli americani ci hanno abbandonato. Solo il governo centrale (di Damasco) e la Russia hanno risposto alle nostre richieste di aiuto… e ora non abbiamo altra scelta”.

“Sono confusa, molto confusa”, ammette dal canto suo Raperin, pseudonimo di un’altra attivista di Qamishli. “Sapevamo che il regime aspettava questo giorno. Ma non immaginavamo di ritrovarci senza altra scelta. Adesso – afferma – tutto si complica. Ci sono i turchi e i loro mercenari pronti a sterminarci, le forze di Damasco che vogliono vendicarsi, l’Isis pronto a tornare forte. Cosa ne sarà del nostro sogno politico, sociale e culturale?”.

(di Lorenzo Trombetta/ANSAmed)

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