L’Italia blocca l’export di armi, l’Ue condanna Erdogan

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dichiara alla riunione dei capi delle diplomazie europee, a Lussemburgo. (repubblica.it)

LUSSEMBURGO. – Anche l’Italia blocca l’export degli armamenti alla Turchia, in risposta all’offensiva di Ankara contro i curdi nel nord est della Siria.

Un’operazione militare condannata all’unanimità dai ministri degli Esteri europei, che si sono impegnati ad una moratoria decisa all’unanimità – ma attuata a livello di ciascun Paese -, ed hanno aperto la strada a sanzioni per le trivellazioni illegali turche in acque cipriote, oltre a chiedere a Washington la convocazione di una riunione ministeriale della Coalizione internazionale anti-Daesh per far fronte al riemerge della minaccia dell’Isis.

Ad annunciare il decreto ministeriale sullo stop alle armi “per tutto quello che riguarda il futuro dei prossimi contratti e dei prossimi impegni” è stato il titolare della Farnesina Luigi Di Maio, al suo debutto alla riunione dei capi delle diplomazie europee, a Lussemburgo.

Una prima volta che il ministro ha inaugurato con un bilaterale di prima mattina con l’omologo francese Jean-Yves Le Drian, per lanciare fin da subito un messaggio di unità di intenti: sollecitare Erdogan a cessare subito le operazioni militari e richiamare l’Ue a parlare con una voce sola. Un risultato niente affatto scontato, come ha ammesso l’Alto rappresentante Federica Mogherini, presentando soddisfatta le decisioni prese a 28.

A livello europeo sul blocco alla vendita di armi ai turchi è stato deciso di andare avanti con le iniziative dei singoli Paesi, ma rigorosamente di tutti – ha sottolineato Mogherini – sulla scia di quanto già fatto da Francia, Germania, Olanda, Svezia e Finlandia, e annunciato anche dalla Spagna, con un meccanismo di verifica europeo sull’attuazione degli impegni presi (che verrà convocato già nei prossimi giorni), su richiesta proprio di Di Maio.

Una soluzione privilegiata rispetto ad un embargo tout court dell’Unione europea perché più rapida, e capace di aggirare alcuni problemi tecnici derivanti sia dal fatto che la Turchia è

un Paese candidato all’adesione all’Ue, sia perché è membro della Nato (Alleanza di cui molti dei 28 fanno parte). Ma che tuttavia, come sottolineano alcuni osservatori, lascia più margine di manovra a ciascuno Stato sull’applicazione.

Chi era nelle stanze dei bottoni durante la trattativa per concordare la posizione a 28 racconta di un Di Maio molto attento, che ha tenuto il punto di fronte ad una Gran Bretagna riluttante ad esprimere parole di condanna verso la Turchia.

Perché in effetti per mettere nero su bianco le conclusioni dell’incontro dove si sono registrati tentennamenti anche da parte di Bulgaria e Ungheria è stato necessario un lavoro importante di sintesi. A pesare, tra l’altro, il timore di una Turchia pronta ad aprire le porte dei profughi sulla rotta del Mediterraneo orientale: questione che Cipro, Grecia e Germania non hanno mancato di evocare.

Il decreto ministeriale sullo stop all’export delle armi a cui la Farnesina darà luce verde nelle prossime ore (come già avvenuto con quello sui rimpatri) non dovrà passare dal vaglio del Parlamento, dove comunque Di Maio domani sarà per riferire sulla Siria: “Per me – ha precisato – era importante che l’iniziativa fosse a 28 perché in questo modo tutta l’Europa si mette in una posizione di pari condizioni nei confronti della Turchia, in modo che nessun Paese ne risenta più di un altro”.

Sullo sfondo ci sono infatti anche le preoccupazioni per un export che per il nostro Paese ha già portato un giro di affari di 49 milioni di euro nei primi nove mesi del 2019. E oltre 362 nel 2018, secondo l’ultima relazione al Parlamento. Con la Turchia al terzo posto tra i Paesi ai quali l’Italia vende armi, dopo Qatar e Pakistan.

A spingersi più avanti di tutti oggi a Lussemburgo è stata però l’Austria: “É assurdo – ha osservato il ministro degli Esteri Alexander Schallenberg – che si stia discutendo di sanzioni e misure come l’embargo di armi contro un Paese che è formalmente impegnato nel dialogo di adesione con l’Ue. Come austriaci pensiamo che questi negoziati per l’adesione, che abbiamo congelato in questi ultimi due o tre anni, siano ora da cancellare formalmente”.

(dell’inviato Patrizia Antonini/ ANSA)