Putin frena Erdogan, forza d’interposizione in Siria

Un battaglione della polizia militare russa al suo arrivo alla base aérea de Jmeimim, vicina alla cittá siria de Latakia. (actualidad.rt.com)

ISTANBUL,. – Vladimir Putin scende in campo e frena l’offensiva della Turchia di Erdogan nel nord della Siria.Da questo pomeriggio l’esercito del presidente Bashar al Assad ha il “totale controllo” di Manbij, località strategica a ovest del fiume Eufrate, alle cui porte scalpitavano le milizie árabe filo-Ankara.

La loro avanzata è stata bloccata sul nascere dall’arrivo delle truppe di Damasco, dopo che la Coalizione internazionale anti-Isis a guida Usa aveva ufficializzato il suo ritiro, e dallo schieramento della “polizia militare” russa come forza d’interposizione sul perimetro della città, “lungo la linea di contatto tra gli eserciti siriano e turco”.

Un intervento che segna il primo vero stop all’incursione turca, nel settimo giorno dell’operazione militare ‘Fonte di pace’.

Anche Kobane sembra ormai fuori portata, con i soldati di Assad scortati dai russi pronti a occupare anche lì il posto lasciato vacante dagli americani. Entro 24 ore arriverà poi in Turchia il vicepresidente americano Mike Pence, inviato da Donald Trump dopo le sanzioni per chiedere a Erdogan un cessate il fuoco.

Ma il presidente turco non molla. “Presto metteremo in sicurezza” l’intero confine turco-siriano “da Manbij al confine con l’Iraq”, ha promesso. Obiettivo: conquistare più terreno possibile per mettere al sicuro le frontiere e rimandare a casa i rifugiati.

“Un milione in una prima fase, due milioni in una seconda tappa”, ha spiegato il Sultano. Ankara, ha detto, ha “salvato dall’occupazione dei terroristi mille chilometri quadrati di territorio”. E dalle colonne del Wall Street Journal è tornato a minacciare l’Europa: “La comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o cominciare ad accettare i rifugiati”.

Ma sull’offensiva turca continuano a piovere condanne. Oggi anche Gran Bretagna e Spagna si sono aggiunte alla lista di Paesi europei – dopo Italia, Germania, Francia, Olanda e Paesi scandinavi – che hanno sospeso la concessione di nuove licenze ad Ankara per forniture di equipaggiamenti militari.

Per Londra, si tratta di “un’azione sconsiderata e controproducente, che dà forza alla Russia e al regime di Assad”. Domani ne parleranno a Bruxelles gli ambasciatori Nato e a porte chiuse si riunirà anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Sul campo, dopo il ritiro da Manbij e Kobane, i marines americani stanno abbandonando tutte le altre postazioni. A parte una piccola guarnigione che resterà nella base di Al Tanf, nel deserto siriano, i circa mille soldati a stelle e strisce finora in Siria verranno dislocati in Iraq e Giordania. Un vuoto súbito riempito dai militari siriani e russi, in una staffetta di fatto che ha tagliato fuori le truppe di Ankara.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), fino a stasera l’esercito di Damasco non era ancora entrato a Kobane. Ma il passaggio di consegne sarebbe ormai questione di ore.

Nell’area al centro dell’operazione turca gli scontri proseguono invece senza sosta. Raid d’artiglieria hanno preso di mira per diverse ore Tal Abyad e l’offensiva prosegue anche a Ras al Ayn.

I curdi continuano a rispondere con raffiche di mortai verso le zone di confine, dove oggi sono morti altri due civili più a est, nella provincia di Mardin, portando a 20 il totale delle vittime in Turchia. Sul fronte curdo i morti tra la popolazione sono invece almeno 90, tra cui 21 minori, secondo l’ultimo bollettino dell’Ondus.

Per Ankara, sono oltre 600 i combattenti nemici uccisi. Una cifra che l’Ondus fissa invece a 158, a fronte di 121 miliziani filo-turchi morti.

Sempre più drammatica è la situazione degli sfollati interni, fuggiti dalle località di frontiera nelle provincie di Hasakah e Raqqa verso le zone interne. Secondo l’amministrazione del Rojava, i profughi sono 275 mila, tra cui 70 mila minori, come peraltro già denunciato ieri dall’Unicef.

Ad aggravare la situazione è anche la fuga delle ong internazionali, tra cui Medici Senza Frontiere, il cui personale sta lasciando in queste ore il nord-est della Siria, soprattutto per il timore di restare intrappolato dopo l’arrivo delle forze di Assad, che ritengono la presenza di organizzazioni straniere nell’area, anche umanitarie, una forma di occupazione.