Brexit, l’ultima battaglia di Johnson è a Westminster

Manifestanti mostrano un cartello con la scritta: "Noi siamo ancora qui perché il Brexit é ancora una schifezza". (bbc.com)

LONDRA. – All’ultimo minuto, all’ultimo respiro, all’ultimo voto. É una corsa con il cuore in gola quella che attende Boris Johnson al Parlamento di Westminster sulla ratifica del nuovo accordo di divorzio dall’Ue raggiunto in extremis con Bruxelles, a dispetto delle previsioni o degli auspici di tanti.

Una corsa dall’esito incerto, che mette in palio il destino della Brexit – o almeno la promessa di portare a casa la Brexit il 31 ottobre, senza altri rinvii – e che potrà ipotecare il risultato delle prossime elezioni britanniche.

La seduta è convocata di sabato: l’ultima volta era accaduto nel 1982, ai tempi della guerra di Margaret Thatcher nelle Falkland. E il governo Tory si mostra convinto di potercela fare, dopo le tre umilianti bocciature subite nei mesi scorsi alla Camera dei Comuni da Theresa May.  Di nuovo c’è innanzi tutto un accordo riveduto e corretto senza più la clausola vincolante a tempo indeterminato del backstop sul confine irlandese, ma c’è soprattutto Johnson al timone.

E c’è ora l’atteggiamento dell’Ue, dove a conclusione del Consiglio europeo i peana verso BoJo si sono addirittura sprecati: dall’ex nemico Donald Tusk, che ne ha elogiato “l’efficienza” negoziale, al presidente francese Emmanuel Macron, che – al pari del premier irlandese Leo Varadkar – ha finito per dare manforte alla narrativa di Downing Street secondo cui stavolta l’alternativa potrebbe essere davvero tra “questo accordo e un no deal”.

Poiché in caso di mancata ratifica un’altra proroga potrebbe non essere concessa affatto (parola di Macron) anche laddove il governo britannico la dovesse chiedere nel rispetto della legge ad hoc – il Benn Act – imposta dalle opposizioni.

I numeri a Westminster restano comunque in bilico. La Bbc stima 302 voti sicuri o quasi sicuri per il deal e 301 contrari. Tutto dovrebbe giocarsi dunque su una pattuglia di 36 deputati sfuggenti: 15 Tory, 15 del Labour e sei indipendenti. Mentre pesa, in negativo, il no dei 10 indocili alleati di governo del partito unionista nordirlandese della coriacea Arlene Foster, il Dup, che la versione finale dell’accordo Johnson – il quale lascia Belfast nel medesimo territorio doganale di Londra, ma allineato a lungo termine a diverse regole europee – non la riesce proprio a digerire.

I pallottolieri, intanto, sono in fibrillazione. Anche se i ministri, riuniti oggi dal premier di ritorno da Bruxelles per una riservatissima riunione di governo durata meno di un’ora, insistono a dirsi ottimisti.

Il Leader of the House, Jacob Rees-Mogg, brexiteer convinto e titolare dei Rapporti con la Camera dei Comuni, prevede “numeri sufficienti”, pur ammettendo che il risultato sarà “ravvicinato” ed evocando apertamente la necessità di “gettare ponti” a un drappello di laburisti e indipendenti eletti in collegi pro Leave. Sul fronte del Labour, il leader Jeremy Corbyn e i suoi lavorano a un ‘no’ compatto, ma in effetti almeno 9 ribelli sono già venuti allo scoperto, in barba a minacce d’espulsione che peraltro al momento restano solo teoriche.

Se diventassero 20, il sì al “Boris deal” – contro il quale è stato stasera rigettato un ricorso legale presentato di fronte a una corte scozzese – sarebbe blindato.

A intralciare l’esecutivo non manca del resto l’attivismo di gruppi contrapposti di deputati impegnati a mettere in cantiere emendamenti allegabili all’accordo: ne è stato depositato uno di matrice pro Remain che mira a legare l’accordo a un secondo referendum; un altro che al contrario vorrebbe dall’esecutivo l’impegno a tenere ancora aperta la porta del no deal dopo il periodo di transizione post-Brexit; e soprattutto uno, insidioso poiché trasversale, promosso dal dissidente conservatore Oliver Letwin per garantire che in caso di ok all’intesa l’effettiva uscita dall’Ue sia rinviata a dopo l’approvazione di tutta la legislazione necessaria. Quindi anche dopo il 31 ottobre.

Proprio la scadenza di fine ottobre, invece, secondo John Curtice, esperto di sondaggi della Bbc, è la bandiera di cui BoJo ha bisogno per assicurarsi una vittoria vera in vista delle incombenti elezioni anticipate. Ben oltre la maggioranza assoluta di stretta misura – 326 seggi su 650 – che un’ultima rilevazione gli attribuisce per ora.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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