Elezioni in Spagna, nel dibattito a 7 tutto il provincialismo della politica

Emerse le limitazioni della politica spagnola, saranno Pedro Sánchez (Psoe), Pablo Casado (Pp), Albert Rivera (Ciudadanos), Pablo Iglesias (Podemos) e Santiago Abascal (Vox) i protagonisti dell’unico dibattito che terranno i leader dei principali partiti politici, prima delle elezioni del 10 novembre. Il confronto, organizzato dalla “Academia de las Ciencias y las Artes de Televisión y del Audiovisual”, avviene dopo la pubblicazione di alcuni sondaggi dai risultati contraddittori ma che conducono ad un’unica conclusione: comunque vada, nessun partito otterrà dalle urne la maggioranza assoluta. In altre parole, la situazione di stallo che da mesi caratterizza la politica spagnola non dovrebbe subire alterazioni. Il confronto tra i cinque leader avverrà pochi giorni dopo l’insipido dibattito televisivo che ha visto protagonisti i portavoce del Psoe, Pp, Ciudadanos, Unidas Podemos, Erc, Pnv e Vox.

Tanto fumo ma poco arrosto. Ecco, così si potrebbe riassumere il primo incontro tra le principali forze politiche che concorreranno alle prossime elezioni del 10 novembre in Spagna. I loro rappresentanti, Adriana Lastra (Psoe), Cayetana Álvarez de Toledo (Pp), Inés Arimada (Ciudadanos), Irene Montero (Unidas Podemos), Gabriel Rufián (Erc), Aitor Esteban (Pnv) e Iván Espinosa de los Monteros (Vox), si sono persi in accuse reciproche dimenticando di illustrare le loro proposte elettorali. Di concreto, hanno offerto poco o nulla. I portavoce dei partiti di destra hanno coinciso, questo sì, nell’assicurare che un loro governo ridurrebbe la tassazione. Come? Nessuno lo ha spiegato. Fatta così, in un Paese il cui debito pubblico sfiora il 100 per 100 del Pil e il deficit ha già raggiunto livelli critici, la proposta appare come una delle tante promesse elettorali destinate ad essere archiviate ed abbandonate in un cassetto.

Pedro Sánchez (Psoe), Pablo Casado (Pp), Albert Rivera (Ciudadanos), Pablo Iglesias (Podemos) e Santiago Abascal (Vox)

Il dibattito che il collega Xabier Fortes ha moderato con diplomatica abilità, esortando i protagonisti a volte ad essere più vivaci e altre richiamandoli all’ordine, è stato trasmesso dalla televisione di Stato e ha mostrato una realtà politica divisa e frammentata. Il “formato” non ha certo aiutato a rendere meno soporifero il confronto, come d’altronde non lo ha fatto l’assenza di domande. Se il moderatore non ha svolto il ruolo di semplice cronometrista è stato solo per la sua esperienza. Fortes, lo ha dimostrato, è un giornalista navigato.

Il Psoe è stato il bersaglio preferito. Su di esso si è riversato il “fuoco” nemico e amico. Ma non ha sorpreso più di tanto. D’altronde, non solo è il partito al governo ma è anche, anzi soprattutto, quello che i sondaggi indicano come vincitore della prossima tornata elettorale. Era logico, quindi, che Pp, Ciudadanos, Unidas Podemos, Erc, Pnv e Vox cercassero di metterlo con le spalle al muro, di mostrarne debolezze e contraddizioni. Adriana Lastra ha avuto un gran da fare per rispondere al fuoco incrociato.

Sui recenti fatti avvenuti nella Catalogna all’indomani del verdetto che ha condannato i promotori del referendum del primo ottobre 2017 a pene severe che oscillano dai 13 ai  9 anni, il Pp e Ciudadanos hanno accusato il Psoe di non aver agito con la sufficiente autorità e prontezza permettendo alle frange radicali e violente dell’indipendentismo di mettere a ferro e fuoco Barcellona e altre città della Catalogna.  Ed hanno chiesto alla rappresentante del Psoe di spiegare il concetto di “plurinazonalità” proposto dal Psoe. Dal canto suo, Irene Montero ha insinuato che la reazione degli indipendentisti avrebbe permesso a Pedro Sánchez di stringere un patto con il Pp per ottenere una possibile astensione in Parlamento. Probabilità immediatamente smentita da Cayetana Álvarez de Toledo. Gabriel Rufián ha chiesto l’amnistia per i 12 condannati mentre il rappresentante di Vox proponeva di mettere al bando tutti i partiti indipendentisti.

Nell’ambito economico, mentre Lastra sottolineava la crescita del Paese, gli esponenti della destra promettevano la riduzione fiscale.

Assai acceso è stato lo scontro sulla violenza di genere. Protagoniste sono state proprio due donne, da trincee opposte: Cayetana Álvarez de Toledo, del Pp, e Irene Montero, di Unidas Podemos.

Anche sulle politiche ambientali sono emerse differenze di fondo tra i maggiori partiti dell’arco costituzionale spagnolo. Ma nessuno ha spiegato con quali politiche pensa  evitare l’emissione di gas tossici e ridurre la contaminazione.

I portavoce dei partiti hanno impiegato gran parte del loro tempo per accusarsi a vicenda o per trasformare il Psoe nel centro dei loro dardi avvelenati.

Il dibattito ha mostrato il preoccupante provincialismo della politica spagnola. I grandi temi di carattere internazionale sono stati infatti glissati. Eppure, la Spagna dipende molto dal contesto mondiale. Il Brexit, la guerra commerciale, la vocazione egemonica della Russia di Putin, le politiche europee nell’ambito finanziario e quelle riguardanti la problematica dell’emigrazione dovrebbero essere al centro dell’interesse dei leader politici. Il futuro dell’Europa, sotto stress per la presenza sempre più minacciosa degli euroscettici, dovrebbe essere motivo di preoccupazione. Lo dovrebbe essere soprattutto oggi, visto che il capo della Diplomazia europea è uno spagnolo, Josep Borrell. Pur tuttavia sono stati proprio questi temi i grandi assenti del dibattito di venerdì. Probabilmente, lo saranno anche di quello in cui i protagonisti saranno Sánchez, Casado, Rivera, Iglesias e Abascal.

Mauro Bafile