Ultimatum Pd a Renzi e Di Maio: “Così la corda si spezza”

(S-D) Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, il premier Gouseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in occasione della chiusura della campagna elettorale delle elezioni regionali, Narni
(S-D) Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, l'ex-premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in occasione della chiusura della campagna elettorale delle elezioni regionali, Narni, 25 ottobre 2019. ANSA/MATTEO CROCCHIONI

ROMA. – Avanti così non si può andare. Già le bordate arrivano da tutte le parti, dalla Lega di Matteo Salvini a Confindustria, almeno gli alleati devono smetterla con strappi e polemiche, perché, è l’avvertimento che manda il Pd, “a forza di tirare, la corda si spezza”.

Ma dalla manovra all’ex Ilva si susseguono le prese di distanza ora del Movimento 5 Stelle ora di Italia Viva. Ultimo pomo della discordia le tasse su auto e plastica che vedono Iv e M5s su posizioni opposte e il Pd al lavoro per una soluzione che plachi le ire dell’industria, metta d’accordo gli alleati e salvaguardi, il tema più caro al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, i saldi della manovra.

Nicola Zingaretti riunisce in mattinata ministri e dirigenti Dem (compreso Gualtieri) e prova quindi a mandare un segnale chiaro a M5S e Italia Viva, sollecitato anche dall’area Guerini-Lotti che da tempo chiede piglio più deciso. Oltre alla “esasperazione” per gli atteggiamenti di Matteo Renzi e Luigi Di Maio, il non detto è che o si ritrova una navigazione più tranquilla o l’alternativa restano le urne.

“Un’arma spuntata”, dicono i renziani: in piena sessione di bilancio, è il ragionamento “non si può calare il sipario”. A gennaio poi ci sono le elezioni in Emilia, e se il Pd dovesse perdere il problema ce l’avrebbe “in casa” e “Zingaretti non c’è più”. Viceversa lo scenario potrebbe vedere un voto anticipato con Rosatellum e taglio dei parlamentari e i Dem “al 20%” con al massimo “75 tra deputati e senatori…un suicidio politico”.

La sessione di bilancio, in realtà, ufficialmente è appena iniziata: dopo una gestazione travagliata, il testo è arrivato da due giorni al Senato e oltre alle richieste delle opposizioni fioccano le ipotesi di cambiamenti, anche radicali, volute dalla maggioranza.

“La tassa sulle auto aziendali è stata cancellata” esulta ad esempio Renzi. Ma la sua sembra più una fuga in avanti perché sul rincaro per i mezzi in ‘fringe benefit’ ancora è aperta una riflessione. Così come sull’altra tassa nel mirino, quella sulla plastica. Anche perché le due misure insieme valgono quasi un miliardo e mezzo.

A chiedere un ripensamento sono per prime le imprese del settore, che temono per la tenuta della filiera del packaging, anche se il giudizio “negativo” di Confindustria è sul complesso della manovra, come dice il presidente Vincenzo Boccia.

Sulla plastic tax, comunque, le aperture già ci sono state. Ma ancora una volta gli alleati immaginano soluzioni diverse. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, invita il comparto a presentare una proposta “unitaria” per correggere l’imposta da 1 euro al chilo sui prodotti monouso e immagina di trasformarla in una “tassa di scopo” per supportare e accelerare la riconversione green.

Ma si lavora al contempo anche a rimodularla rispondendo al criterio “chi più inquina più paga”, arrivando magari fino a un dimezzamento del prelievo. Una via che però trova freddo il M5S. Un conto, è il ragionamento, è aggiustare l’impatto della norma, magari con uno slittamento di qualche mese per dare più tempo per la riconversione. Altro è snaturare l’intervento o addirittura cancellarlo. E lo stesso vale per le auto aziendali.

Tutti d’accordo, invece, sulla necessità di ritoccare le misure sulle ritenute negli appalti, le più criticate del decreto fiscale: in questo caso si pensa a circoscrivere i settori a cui applicare la stretta. Mentre con ogni probabilità bisognerà rivedere le norme sull’archivio dei dati sulle fatture elettroniche di cui Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza possono fare un utilizzo più ampio: per il Garante della Privacy si tratta di troppi dati sensibili anche se non “fiscalmente rilevanti” che vengono messi a disposizione in modo “sproporzionato”.

(di Silvia Gasparetto/ANSA)

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