Italia viva propone scudo Arcelor Mittal, Conte cerca sponda Merkel

Operai davanti alla fabbrica Arcelor Mittal a Taranto,
Operai davanti alla fabbrica Arcelor Mittal a Taranto, 5 novembre 2019. ANSA/RENATO INGENITO

ROMA. – Sale la tensione nella maggioranza per trovare una soluzione a tutto campo alla vicenda dell’ex Ilva di Taranto. Nel frattempo il premier Giuseppe Conte, nel corso della bilaterale italo-tedesca di Roma, cerca anche la sponda di Angela Merkel sui temi dell’acciaio, con l’obiettivo di una cooperazione ed un confronto sulle soluzioni più avanzate dal punto di vista tecnologico, condividendone le conoscenze”.

Intanto, dal Mef si frena sul possibile ricorso a nazionalizzazioni come “soluzione magica” ad una crisi industriale: “una pericolosa illusione”. Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri parla in generale ma mette un paletto sulla nazionalizzazione dell’Ilva che invece il ministro della Sanità Roberto Speranza (Leu) considera “ragionevole”.

Per il dossier Arcelor Mittal è un giorno di lavoro sotterraneo nel quale la politica parla, in attesa di possibili confronti e soluzioni. Che Italia Viva di Renzi presenta come emendamento al decreto fiscale, riproponendo due diversi ‘scudi’ penali: uno generale per tutte le imprese, l’altro specifico per l’Ilva.

Ma a Taranto la società avvia il “piano di ordinata sospensione di tutte le attività produttive a cominciare dall’area a caldo” annunciato dall’a.d. Lucia Morselli. Un piano di spegnimento che, se portato a termine, creerebbe danni all’Ilva e alla proprietà, chiunque essa fosse, privata o meno. E’ stato sospeso a Taranto – fanno sapere i lavoratori – lo scarico delle materie prime destinate allo stabilimento, l’obiettivo sarebbe quello di fermare una delle due linee di agglomerazione.

Se questo rientri nei poteri di ArcelorMittal (attualmente è solo affittuario degli asset Ilva, la proprietà è ancora dell’ Amministrazione Straordinaria cioè dei creditori dell’ex Ilva) lo diranno i giudici di Milano. Bloccare il piano di spegnimento è il primo obiettivo (in ordine di tempo) contenuto nel ricorso cautelare d’urgenza preparato dagli avvocati del Commissari Straordinari per impedire ad ArcelorMittal di filarsela all’inglese dall’Ilva: “non ci sono le condizioni per il recesso”, dice.

Il ricorso non è ancora stato depositato al tribunale di Milano come non risulta ancora depositato l’atto di citazione con cui ArcelorMittal chiede al giudice di Milano di riconoscergli il diritto di lasciare l’Ilva. Difficile capire se siamo alla vigilia di quella che potrebbe diventare, come minacciato dal premier Conte “la battaglia legale del secolo” o in una fase di “raffreddamento” del conflitto.

Al momento il limbo in cui è precipitata (ancora) L’Ilva e i suoi lavoratori permane. Da un lato si cerca di creare le condizioni per permettere ad Arcelor Mittal di restare in Ilva, disinnescando quello che ormai appare essere solo un pretesto, cioè lo “scudo penale” dall’altra il premier Conte avverte che la protezione legale ci sarà solo in caso di rispetto pieno dell’accordo. I due emendamenti dei renziani prevedono il ripristino della “protezione legale” chiesta da ArcelorMittal.

Uno degli emendamenti prevede uno scudo generale valido per tutte le aziende e uno specifico per Ilva. E’ facile prevedere – vista l’ampia maggioranza sul tema – che almeno uno passerà. Tolto dal campo la palla avvelenata dello scudo, il governo tiene aperto il tavolo con ArcelorMittal lasciando trapelare offerte di collaborazione. Il Governo può “concorrere a soluzione di rilancio dell’ex Ilva” ma, dice il ministro Gualtieri “secondo il piano industriale” originario anche se – concede – “adattato alle circostanze”.

Cosa concretamente il Governo sia disposto a concedere – mentre da Bari il presidente della Regione Michele Emiliano chiede la decarbonizzazione – lo si saprà più chiaramente dopo il prossimo incontro fra Giuseppe Conte e l’Azienda che dovrebbe avvenire prestissimo, qualcuno dice già martedì quando il premier incontrerà anche i parlamentari pugliesi.

Fra le ipotesi circolate in questi giorni c’è la copertura per una cassa integrazione temporanea per 2.500 lavoratori (come nelle più banali trattative la metà di quello voluto dall’azienda), ma sui livelli occupazionali (e produttivi) l’accordo era piuttosto ferreo e i sindacati di acciaio. Facile ipotizzare l’entrata in campo di Cassa Depositi Prestiti, magari affiancata da Invitalia.

Anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dice che la Cassa “non va esclusa dalla cassetta degli strumenti di cui disponiamo”. Ma una volta evocata Cdp, il Deus ex Machina dell’economia industriale italiana, il salvacondotto alla negligenza della politica industriale nazionale, ci si può spingere persino a ipotizzare un ingresso di Cdp nella stessa ArcelorMittal Italia, ingresso già considerato gradito dallo stesso Lakshimi Mittal dopo lo scioglimento di Acciaitalia, la cordata concorrente che aveva in Cdp il suo pivot e in Lucia Morselli (attuale a.d. di ArcelorMittal Italia) il suo amministratore delegato.

In alternativa un piano “B” con riconsegna delle chiavi ai Commissari Straordinari e rimessa in gara del gruppo, un tempo in pancia dell’Iri e poi della famiglia Riva, sarebbe un “pericoloso” déjà-vu.

(di Maria Gabriella Giannice/ANSA)

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