Tumori del sangue, pazienti fanno rete e nasce network Favo

Pazienti di tumori fanno rete e nasce network Favo.
Pazienti di tumori fanno rete e nasce network Favo.

ROMA. – Sono oltre 30mila ogni anno in Italia le persone che ricevono una diagnosi di tumore ematologico. L’incidenza è in costante aumento, ma anche il numero di coloro che guariscono o in cui si cronicizza la malattia. Cresce quindi il peso e l’impegno delle Associazioni dei pazienti, che da oggi fanno rete.

Inizia infatti il suo percorso a Roma Favo Neoplasie Ematologiche, il primo network nazionale che riunisce le associazioni dei pazienti con un tumore del sangue.

“Si tratta di un network finalizzato a costituire una voce unica e più forte nel dialogo con le istituzioni – spiega Davide Petruzzelli, Coordinatore del network e presidente di La Lampada di Aladino Onlus – gli obiettivi sono molteplici, perché complessa è la realtà delle malattie oncologiche viste dagli occhi del paziente, e tanti ancora gli unmet needs, cioè bisogni non soddisfatti,delle persone con neoplasie ematologiche e dei caregivers”.

La nascita di Favo Neoplasie Ematologiche si inserisce nel contesto di una crescita costante dell’incidenza di queste malattie: negli ultimi 13 anni, infatti, le diagnosi di Linfoma Non Hodgkin sono aumentate del 45% e quelle delle leucemie del 26%.

Ma a fronte di un’aumentata incidenza, derivante da fattori quali l’aumento della popolazione e l’allungamento della vita media, oggi la sopravvivenza a cinque anni per tutte le forme di leucemia si aggira intorno al 43% negli adulti, arriva al 50% nel mieloma e raggiunge per il Linfoma di Hodgkin il 75%, grazie alla ricerca e a terapie innovative che hanno radicalmente modificato la storia clinica.

“Oggi in Italia – evidenzia Francesco De Lorenzo, presidente Favo – vivono circa 900.000 persone guarite dal cancro, e questo è un dato nuovo e importante poiché impone alle Associazioni Pazienti un nuovo obiettivo: lavorare coese per eliminare le barriere che ostacolano il ritorno alla vita normale. Oggi grazie alla ricerca si può guarire, ma una diagnosi in giovane età non può costituire un ostacolo insormontabile all’inclusione sociale e lavorativa e alla piena realizzazione”.