Erdogan la mina vagante, minacce sui curdi e Cipro

Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan.
Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan.

ISTANBUL. – “Agitatevi quanto volete. Prima o poi rispetterete il diritto della Turchia a combattere contro il terrorismo. Non c’è altra strada”. Nella Nato che festeggia i suoi 70 anni in piena crisi d’identità, tra scontri sui contributi e conflitti di leadership, Recep Tayyip Erdogan è la mina vagante.

Nelle ultime settimane, il suo esercito – il secondo dell’Alleanza dopo quello Usa – è stato condannato come “invasore” in Siria da molti dei maggiori azionisti dell’Alleanza stessa. Ma il presidente turco non è tipo da stare sulla difensiva. Dopo aver mandato a dire a Emmanuel Macron di controllare la sua “morte cerebrale”, prima di quella della Nato, al vertice di Londra si presenta come l’incognita numero uno: un partner scomodo ma necessario, provocatorio eppure sempre ambito.

Non più avamposto della Guerra Fredda, Ankara non ha comunque perso il suo ruolo strategico, ed è pronta a farlo pesare. Anzi: il suo slittamento a est – vedi il tavolo con Russia e Iran sulla Siria, prova di un irredimibile pragmatismo sotto il manto dell’impegno messianico – la rende ancora più importante, proprio perché non più scontata.

Spiattellando davanti alle telecamere le trattative degli sherpa, il Sultano ha tolto ancora una volta i veli diplomatici e annunciato la sua minaccia: se la Nato non riconoscerà come “terroriste” le milizie curdo-siriane Ypg, la Turchia bloccherà i piani per la difesa di Polonia e Paesi baltici di fronte alla Russia.

Nel suo stile, la trattativa parte così. Un possibile veto da usare magari come oggetto di scambio su altri dossier cruciali con cui sbarca oltremanica: il sostegno finanziario per riportare un milione di rifugiati in Siria – un’operazione colossale da quasi 30 miliardi di dollari – e lo scontro nel Mediterraneo orientale. Isolata dall’intesa di Cipro-Grecia-Egitto per lo sfruttamento delle risorse energetiche offshore, la Turchia ha disseminato le sue fregate in una guerra di posizione che nessuno vuole trasformare in conflitto aperto.

Alla vigilia del summit di Londra, ecco il coniglio dal cilindro: un patto firmato in gran segreto al palazzo di Dolmabahce a Istanbul – quello degli ultimi Sultani – con il premier di Tripoli Fayez al-Sarraj (e tramite i buoni uffici dei Fratelli Musulmani che lo sostengono) per ridefinire i confini marittimi tra i due Paesi, in cambio di protezione. Risultato: la piattaforma continentale turca estesa di un terzo, con una riga tracciata su una mappa. Un’intesa che ha subito allarmato Atene e Nicosia.

Il premier greco Kyriakos Mitsotakis ha chiesto l’appoggio Nato. Ma ancora una volta, dall’altra parte c’è uno dei suoi membri principali, che ha già detto che “non intende discuterne”. Poi c’è la Russia. Erdogan ha giurato: “I nostri buoni rapporti non sono alternativi, ma complementari”. Con l’arrivo dei missili S-400 di Mosca, però, c’è chi teme per i sistemi Nato. E persino gli ordigni tattici nucleari di marca Usa, custoditi da decenni in Turchia, a qualcuno non sembrano più così al sicuro.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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