Arcelor Mittal, Conte: “Respingiamo il piano”. Battaglia sugli esuberi

Stabilimento dell'ex Ilva a Taranto.
Stabilimento dell'ex Ilva a Taranto. (ANSA)

ROMA. – Il nuovo piano di Arcelor Mittal “non va assolutamente bene. Lo respingiamo”. Il premier Giuseppe Conte parla chiaro. Il governo non ci sta a impostare una trattativa partendo da 4.700 esuberi. Ma cerca anche di non far saltare il negoziato. Si starebbe pensando a un incontro mercoledì prossimo.

Il presidente del Consiglio infatti spiega che si continuerà a lavorare: ci sono degli obiettivi che ci siamo prefissati col signor Mittal e che il signor Mittal si è impegnato personalmente con me a raggiungere, e ci riusciremo”.

Sindacati, commissari e non solo fanno invece notare che il gruppo non può andar via gratis. Ci sarebbero delle multe salate da pagare. Per ora la questione dello scudo penale sembra scomparsa dai rader, ma potrebbe rappresentare una fiche da mettere sul tavolo nel corso del negoziato.

Intanto il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, sta mettendo a punto una contro-proposta, da presentare entro lunedì, per realizzare a Taranto uno stabilimento siderurgico all’avanguardia in Europa. La produzione di acciaio andrebbe oltre gli 8 milioni di tonnellate. L’area a caldo verrebbe sottoposta a interventi manutentivi e affiancata da forni elettrici e tecnologie green. A ciò si aggiungerebbe l’impegno per il risanamento ambientale e la riqualifica di Taranto, che per il ministro va comunque garantita.

La partecipazione pubblica alla nuova Ilva si concretizzerebbe attraverso Invitalia, che vede Domenico Arcuri riconfermato amministratore delegato. Ma secondo alcune fonti vicine al dossier non è da escludere un intervento da parte di Cassa depositi e prestiti, anche se dovrebbe cambiare la cornice.

Cdp non può entrare in aziende in perdita. La strada d’uscita starebbe nella formazione di una newco, ma l’operazione appare complessa. A prendere in mano la situazione in questo scenario potrebbe essere un commissario straordinario. A riguardo, vale la pena ricordare che il governo ha appena scelto un consulente per condurre il negoziato, Francesco Caio.

Il fronte lavoro è il più delicato. Si potrebbe immaginare un ricorso alla cassa integrazione ordinaria e agli incentivi all’esodo, per tamponare una fase di transizione, prima di entrare a regime. Nel piano del governo sarebbe comunque assicurata la salvaguardia dei livelli occupazionali. Cosa che non è nelle intenzioni di Arcelor Mittal.

Da quanto si apprende l’ex Ilva, nell’ambito della causa aperta a Milano, sostiene che il caposaldo del contratto firmato dall’azienda un anno fa sia proprio il mantenimento dell’occupazione. Il gruppo, si fa presente, si è impegnato a mantenere, indipendentemente dalla situazione del mercato, 10 mila posti di lavoro fino al 2023 con una penale prevista di 150 mila euro su ogni lavoratore messo alla porta sotto quella cifra.

I sindacati, che non credono che la trattativa abbia futuro, invitano il governo a riscuotere. Si “pensi a far pagare all’azienda il mancato rispetto dell’accordo”, dice la Uilm. Di sicuro dalle ore 23 di lunedì 9 a Taranto inizierà lo sciopero – indetto dai metalmeccanici di Fiom, Fim e Uilm – che si concluderà alle ore 7 dell’11 dicembre. Tutto contro “un ridimensionamento non solo sull’area a caldo ma anche su buona parte dell’area laminazione e tubifici, determinando di fatto oltre 6.000 esuberi”.

A sostegno dei lavoratori c’è chi invoca lo sciopero di tutta la città. Ma la vicenda non può che toccare tutta Italia. Ne è consapevole Federmeccanica: “Ci preoccupano gli scenari relativi all’ex Ilva, perché le sue sorti sono determinanti per la metalmeccanica, per l’industria e più in generale per il Paese”.

Che la strada sia in salita traspare pure dalle dichiarazioni del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. “Premesso che non amiamo l’intervento pubblico è chiaro che se dovesse emergere un piano B è evidente che – ammette – bisogna con buon senso e pragmatismo affrontare anche questo aspetto”.

Vede nero il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Da “un contratto firmato che è diventato non più gradito da chi ha preso questo impegno non si esce gratis”.

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