Marco Buttu, un anno isolato in Antartide

Antartide, la base Concordia.
Antartide, la base Concordia.

CAGLIARI. – “Una esperienza quasi irreale”. Marco Buttu, originario di Gavoi (Nuoro), ingegnere elettronico e ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), sintetizza in un colloquio con l’ANSA la sua avventura estrema nel cuore dell’Antartide. La sua storia è nota a tutti, come il suo viaggio dalla Barbagia ai ghiacci del Polo Sud.

Per tredici mesi ha vissuto in uno dei luoghi più freddi e inospitali del pianeta: il sito Dome-C nell’altopiano Antartico, dove si trova la base italo-francese Concordia. Lo racconterà il 16 dicembre, al liceo Eleonora d’Arborea di Cagliari, dove è atteso dalle 11.30 per uno degli eventi del festival “Skillellé-Pronti per il mondo”, progetto selezionato da “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

Al centro dell’incontro il suo libro, “Marte Bianco. Nel cuore dell’Antartide. Un anno ai confini della vita” (Edizioni LSWR). La base Concordia, nata dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra) e dal programma francese di ricerca polare (Ipev) si trova in una sterminata distesa di ghiaccio dove a 3.000 metri di quota l’aria è rarefatta come se ci si trovasse a 4.000 metri, le temperature in inverno possono scendere sotto 80 gradi e dove per tre mesi, ovvero 97 giorni consecutivi, la missione ha vissuto nel buio assoluto della notte artica.

Con altri 12 fra ricercatori e tecnici, sei dei quali italiani, cinque francesi e un’austriaca, Marco Buttu ha dovuto imparare a vivere in condizioni estreme mettendo in campo strategie vitali di relazione ed equilibri interni. “Per sopravvivere a queste situazioni – spiega – ci sono almeno tre componenti essenziali: una forte motivazione, caparbietà e, lontano da tutto e da tutti, in un luogo senza vita, nell’assenza del minimo stimolo sensoriale dove fino all’orizzonte e in ogni direzione tutto è bianco e piatto, ti crei il tuo piccolo mondo, liberi quello interiore e scopri davvero un universo di meraviglie”.

In valigia ha arrotolato la bandiera dei Quattro mori, il poster di Gigi Riva per lanciare il fan club più remoto al mondo, il libro “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu e un piffero realizzato da un artigiano del suo paese, Piergavino Sedda.

“E’ stata una sensazione indescrivibile far giungere i ritmi del ballo sardo nel cuore dell’Antartide”, confessa. Il suo è un racconto avvincente ed emozionale. “Il rientro a casa è stato come vivere in un sogno, con tutte quelle forme di vita, i colori, i suoni, i profumi”. Ora è pronto ad affascinare i giovani dell’Eleonora Arborea.

“Non sapevo di avere un talento, ma avevo ben chiaro quale fosse il mio sogno. Non è necessario che la meta sia un punto così remoto del mondo – sottolinea Bittau – importante è crederci nei propri sogni, questo vorrei suggerire ai ragazzi, guardare oltre il proprio orizzonte. Non sempre si sa fino a dove si possa spingere lo sguardo”.

(di Maria Grazia Marilotti/ANSA)

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