Ottaviano Razetto, a Praga tra architettura, arte e cultura

PRAGA – “Sono un architetto cioè colui, per dirla alla Thomas Mann, per il quale fare architettura risulta più difficile che a tutti gli altri”. A pronunciare queste parole è Ottaviano Maria Razetto, partner della “Architectural Consulting” e Vice Presidente della Fondazione Eleutheria.

Nato a Parma nel 1974, dal 2008 è iscritto all’albo Professionale degli Architetti della Repubblica Ceca. La sua attività si articola, in particolare, nel restauro e nella ristrutturazione di edifici residenziali, nuove edificazioni, uffici, allestimenti per mostre e rassegne. Ma cosa significa esercitare questa professione in una città come Praga, dove l’architettura italiana è conosciuta e amata fin dal 1500?

– Thomas Mann, ovviamente, si rivolgeva al mestiere dello scrittore – ci spiega – ma penso che la sua affermazione si adatti alla perfezione anche al ruolo dell’architetto. Se da un lato, infatti, è vero che l’architettura, e in generale la cultura italiana, hanno avuto un’importanza particolare nella Praga del passato, credo che adesso la situazione sia molto diversa. Mi viene da chiedermi, in un mondo in perenne movimento e trasformazione, dove la “tecnologia” è la vera interprete di questi cambiamenti, che ruolo abbia oggi l’architettura. Il mio – prosegue – è un discorso generale, certo, ma è del tutto evidente che l’architettura, per potersi esprimere, abbia la necessità che provengano istanze precise da una società fortemente motivata e conscia del proprio ruolo. Non è un caso che negli ultimi quaranta o cinquant’anni, solo quei Paesi che hanno cercato e voluto esprimere un nuovo ruolo raggiunto a livello mondiale, abbiano trovato nell’architettura lo strumento efficace e capace di rappresentarlo. In termini sociologici – aggiunge – si potrebbe dire che, nella nostra società occidentale, un nuovo modello di iPhone abbia un impatto di gran lunga superiore ad una qualsiasi opera di architettura. Pensi, per esempio, alla Praga di questi ultimi trent’anni: la città ha avuto uno sviluppo economico straordinario paragonabile, forse, solo a quello vissuto tra la fine dell’800 e i primi del ‘900. Eppure quanto, l’architettura, è stata in grado di interpretare questo enorme cambiamento? Solo soffermandoci sulle opere pubbliche, penso che si sarebbe dovuto e potuto fare di più per progettare un aeroporto che fosse una vera porta di ingresso alla città, un museo di arte contemporanea – mai nemmeno immaginato – e che dire della triste storia della Nuova Biblioteca Nazionale, prima affidata all’architetto Kaplicky ma poi mai realizzata? Purtroppo anche a Praga si costruisce molto più che in passato ma, spesso, male e con qualità progettuale bassa. Per non parlare dei restauri, che in certi casi distruggono più del mancato intervento. Vi sono anche delle responsabilità in tutto questo, ovviamente ad iniziare da noi architetti, dalle stesse università di architettura che hanno finito per forgiare dei “tecnici” abili nell’uso del disegno computerizzato ma spesso privi di qualsiasi preparazione culturale: il che nel nostro mestiere sembra quasi un ossimoro intellettuale. Ma, probabilmente, è la nostra società che si identifica in altri valori e, di questo, gli architetti ne devono prendere atto.

Ottaviano Maria Razetto non ha scelto di trasferirsi a Praga: piuttosto, ha deciso di rimanerci. Dal 1990 vi si recava spesso: prima per turismo, poi per incontrare suo fratello e quindi, col trascorrere degli anni, fermarsi è diventato quasi naturale.

– Praga è una bellissima città – afferma, convinto – è ricca di storia e di grande fascino e credo che per un italiano, amante della cultura e della bellezza, queste siano delle condizioni imprescindibili. È una città che si può ancora percorrere a piedi, con lo sguardo rivolto verso l’alto e dove è facilissimo incontrare persone che si conoscono, per strada o nei bar. Insomma, la definirei una “capitale di provincia”, nell’accezione positiva del termine. Qui il fremito di Milano, la grandeur parigina, la maestosità di Vienna sono lontani. Ma è questo forse che, più di ogni altra cosa, contribuisce alla magia che serba ogni vicolo, ogni piazza, ogni angolo di questa meravigliosa perla incastonata in mezzo all’Europa.

Oltre ad occuparsi di architettura, Razetto è Vice Presidente della Fondazione Eleutheria.

– Creare una Fondazione è tutt’altro che difficile – ci rivela – e, nel nostro caso, dato che siamo stati io e mio fratello Augusto a costituirla nel 2008, la cosa è stata ancora più semplice. Il difficile è darle vita, perché per farlo bisogna pianificare attività, iniziative sempre diverse e, comunque, riconducibili ad un progetto unico che è quello che caratterizza la fondazione stessa. All’inizio, soprattutto mio fratello, aveva il desiderio di dar vita ad uno strumento che potesse dare la possibilità di esporre le sue collezioni, per massima parte rivolte all’arte del secondo dopoguerra cecoslovacco: il cosiddetto ‘Realismo socialista’. Ed effettivamente, le prime iniziative furono proprio rivolte a questo. Due esibizioni, una a Praga e una in Italia, cercavano semplicemente di mostrare al grande pubblico una piccola parte di un patrimonio che, ad oggi, conta circa 5mila opere tra quadri, sculture, disegni, medaglie, manifesti e fotografie. Poi, come spesso accade, le cose serie nascono quasi per scherzo e, quello che era nato come un semplice strumento ludico, è diventato qualcosa che ci impegna tempo e fatica. I ruoli nella nostra Fondazione – aggiunge – sono sempre molto fluidi e non schematizzabili. Questo perché, al di là di ricoprire la carica di Vice-Presidente, in realtà, curo la maggior parte delle mostre che realizziamo e, in quanto architetto, ne seguo in prima persona il progetto di allestimento. Ma ripeto, nonostante abbiamo realizzato anche progetti impegnativi, siamo ancora una realtà tutto sommato non grande e dove l’apporto di ognuno è determinante. Si dice spesso, in questi frangenti, ma nel nostro caso il termine “squadra” ha un valore speciale, che ci contraddistingue ed è l’anima del nostro lavoro.

Le Ali della Libertà

Siamo curiosi di sapere come si sia evoluto il panorama artistico-culturale praghese, in questi anni.

– Praga non è Parigi – replica – non è New York e nemmeno Roma o Milano. Purtroppo anche il tipo di turismo, definirei di massa, che invade le strade di Praga a tutte le ore di ogni giorno dell’anno, non contribuisce a rendere questa città più ricca di appuntamenti culturali. Non voglio dire che tali appuntamenti non ci siano: anzi, forse ce ne sono fin troppi ma, anche in questo caso, non sempre di grande qualità. Si preferisce riempire i cartelloni di iniziative di “basso peso specifico”, piuttosto che studiare iniziative curate e interessanti. La tendenza è, spesso, quella di riproporre a Praga eventi che si ispirano a quelli internazionali ma in chiave molto ridotta e, questa volta, negativamente provinciale. Quando, invece, Praga avrebbe delle peculiarità proprie che potrebbe rilanciare o sfruttare meglio, attraverso anche una concentrazione delle risorse economiche ad esse dedicate.

I fratelli Razetto sono originari di Parma e molte delle iniziative promosse dalla Fondazione Eleutheria hanno contribuito in maniera determinante a rafforzare l’amicizia tra Parma e Praga: due città che, per una serie di ragioni, sembrano essere molto legate, già da diversi secoli.

– Parma/Praga – ci spiega Ottaviano – è un progetto complesso, che abbiamo ideato nel 2018 proprio per cercare di avvicinare, attraverso la cultura, queste due città. Sono due luoghi che apparentemente non hanno molto in comune. Praga è una capitale, di cultura slava, tedesca ed ebraica che guarda al centro e all’est Europa e ne costituisce un ideale ponte culturale. Parma, invece, è una media città di provincia italiana, dal passato glorioso, che l’ha vista per più di tre secoli capitale di un piccolo stato indipendente, dallo sguardo rivolto soprattutto alla Francia e alla Spagna. Eppure, nelle pieghe della storia di queste due bellissime città, si nascondono tanti e significativi elementi di contatto. L’Imperatore Carlo IV, per esempio, trascorse la sua fanciullezza a Parma e l’ultima Duchessa di Parma (prima dell’arrivo di Napoleone Bonaparte), Maria Amalia d’Asburgo-Lorena divenuta Borbone-Parma per il matrimonio contratto con il Duca di Parma, Don Ferdinando, riparò a Praga dove visse gli ultimi anni della sua vita e dove il suo corpo è ancora sepolto, nella cripta della cattedrale di San Vito, accanto proprio a quello di Carlo IV. E poi il Parmigianino, il grande pittore del XVI secolo, nato e vissuto a Parma per molta parte della sua breve vita, attraverso uno dei suoi allievi, Joseph Heinz il Vecchio, portò il Manierismo in terra boema. E che dire della musica, per esempio, così importante sia per Parma che per Praga? Insomma l’Europa, nel suo passato, ci ricorda più di quanto noi stessi immaginiamo, di quanto fosse unita, prima che dalla politica o dall’economia, da un sottile filo culturale. È nata così – sottolinea – l’iniziativa di portare a Praga una tre-giorni dedicata a Parma, con mostre d’arte (sul Parmigianino al Castello di Praga), presentazioni di libri (uno sul Parmigianino e uno sulla Duchessa Maria Amalia di Asburgo-Lorena), concerti (sulle musiche di Verdi), incontri culinari (con i prodotti tipici della città nominata nel 2015 “Città creativa per la cucina” dall’Unesco) e imprenditoriali (insieme alla Camera di Commercio Italo-ceca). È stato un evento importante, con una presenza costante di pubblico, che ha suscitato un vivo interesse anche da parte delle più alte cariche istituzionali ceche presenti. Quest’anno, poi, abbiamo portato proprio a Parma, nel più prestigioso palazzo della città (Il Palazzo del Governatore), la più importante mostra mai realizzata sull’arte Realista cecoslovacca del XX secolo, con oltre 240 opere che andavano dall’arte figurativa al design, dal cinema alla fotografia. Il progetto, realizzato insieme al Comune di Parma ha visto, anche in questo caso, la collaborazione delle maggiori istituzioni ceche.

Ottaviano con l’Ambasciatore Saverio Nisio e il fratello Augusto

I progetti finora realizzati da Eleutheria hanno evidenziato una grande sinergia con le istituzioni italiane presenti in Cechia, quali l’Ambasciata d’Italia, l’Istituto Italiano di Cultura o la Camera di Commercio Italo-Ceca. Lo stesso entusiasmo ed apprezzamento è stato mostrato anche da parte delle istituzioni ceche.

– Sì, c’è sempre una grande volontà a collaborare – conferma Razetto – e, devo dire, la disponibilità delle istituzioni ceche è spesso encomiabile. Tanto per fare un esempio: la mostra che abbiamo realizzato l’anno scorso sul Parmigianino ha ottenuto anche l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e, mi creda, sono poche le iniziative che possono fregiarsi di un così alto riconoscimento. Del resto, anche la disponibilità personale delle rappresentanze diplomatiche ceche in Italia, è sempre molto attenta e, direi, oltre gli obblighi imposti dalla diplomazia. Questo ci rende anche un po’ orgogliosi, perché è sempre bello riuscire a suscitare l’apprezzamento da parte di chi ricopre incarichi istituzionali.

Davvero numerose, e di grande prestigio, le iniziative realizzate da Eleutheria nel corso degli anni.

 – Ad ogni nuovo progetto – afferma Ottaviano con orgoglio – cerchiamo di rivolgere la nostra attenzione a un tipo di arte in particolare. Nel corso del 2019, ci siamo soffermati su un’arte molto apprezzata dalle nuove generazioni: la “street art”. Abbiamo aperto, in collaborazione con l’Ambasciata del Vietnam a Bratislava, una mostra sui manifesti di propaganda  vietnamiti dagli anni ‘50 agli anni 2000, presso il Ministero della Cultura slovacco a Bratislava. In apparenza non c’entra molto con il concetto comune di “street art” ma, a ben vedere, chi realizzava questi manifesti – completamente dipinti a mano, uno per uno, e non scaturiti da alcun processo di stampa – di fatto realizzava delle opere di “street art” che, poi, venivano affisse nelle strade, nei villaggi, nelle campagne di un Paese: il Vietnam rurale, soprattutto degli anni ‘60 e ‘70, che sapeva “leggere” bene le immagini e poco il testo scritto. La seconda manifestazione che ha chiuso l’anno – prosegue – era invece dedicata proprio alla “street art” e grazie ad 8 artisti (4 italiani e 4 cechi), abbiamo dato vita ad una rassegna dal titolo quanto mai evocativo: “Sulle ali della libertà”. Nella ricorrenza dei 30 anni dalla caduta del regime comunista in Cecoslovacchia, dei 50 anni dalla morte dei giovani Jan Palach e Jan Zajíc, sacrificatisi per la libertà e la democrazia, e dei 100 anni della rappresentanza diplomatica italiana a Praga la mostra – realizzata insieme all’Ambasciata d’Italia nella persona di S.E. Francesco Saverio Nisio e con la collaborazione attiva dell’Istituto Italiano di Cultura, nella persona del suo Direttore, Alberta Lai – si è svolta in una piccola strada di proprietà italiana, rimasta chiusa per vari lustri e riaperta per l’occasione.

Alla professione di architetto ed alla intensa attività culturale e filantropica, Ottaviano Maria Razetto affianca quella di relatore a convegni e lezioni universitarie. Dal 2011 è Visiting Professor alla RUFA – Rome University of Fine Art. È, inoltre, autore di numerosi articoli concernenti l’architettura su riviste e quotidiani, tra i quali: Architekt, Dolce Vita magazine, The Prague Post Newspaper, Idnes magazine, Pekne Bydleni, Leader Magazine, Italian Journal mensile di informazione della comunità italiana negli Stati Uniti, Un Mondo di Italiani, Progetto Repubblica Ceca. Molti suoi progetti sono stati pubblicati su riviste ceche ed internazionali. In breve: Razetto è un vulcano inarrestabile, alla continua ricerca di nuove sfide.

La Forma dell’Ideologia

– Progetti per il futuro? Tanti. Due, in particolare, sono la progettazione di un residence di lusso a Praga 1, che dovrebbe essere inaugurato nel 2021, e di una residenza privata a Malta. Per l’Istituto Italiano di Cultura – aggiunge – insieme al Direttore stiamo portando avanti un progetto di mostra su uno dei maestri del design italiano, Vico Magistretti, di cui proprio l’anno prossimo si ricorderanno i 100 anni dalla nascita. Con Eleutheria, invece, è da due anni che lavoriamo ad un progetto molto ambizioso, che porteremo ancora  a Parma in occasione delle manifestazioni legate alla Capitale italiana della Cultura del 2020. Sarà una mostra dedicata alla storia della famiglia Borbone-Parma e al Ducato ad essa legato da una storia secolare. Le collaborazioni che siamo riusciti ad attivare sono di assoluto spessore come il Museo El Prado di Madrid, gli Uffizi e il Pitti di Firenze, il Palazzo Reale di Torino e il Complesso della Pilotta di Parma. Ci accompagneranno in questa sfida la Fondazione Monteparma, il S.A.I. Ordine Costantiniano di San Giorgio e l’Archivio di Stato di Parma. Già sono confermate le presenze di importantissime personalità e teste coronate italiane ed europee, per il giorno dell’inaugurazione, che avverrà il 25 settembre del prossimo anno. In conclusione, che dire? Vi aspettiamo!

Stefania Del Monte (Redazione Madrid)

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