Dopo le elezioni regionali il Colle vigila: “Il governo sia concreto”

La sagoma di un corazziere in controluce sullo sfondo il palazzo del Quirinale. Mattarella
Un corazziere nel cortile del Quirinale. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

ROMA. – “Il futuro è adesso”, ricordò ai partiti Sergio Mattarella neanche un mese fa. E mai come oggi, dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, quest’invito alla concretezza rimane valido. Il presidente della Repubblica non è mai intervenuto in questa lunga campagna elettorale e nessuno ha citofonato alla porta del Quirinale. Né avrebbe potuto.

Il capo dello Stato aveva fatto ben capire che non si sarebbe fatto tirare per la giacca con richieste irrituali di scioglimento delle Camere dopo un voto amministrativo. Comunque la crescente “disarmonia” tra la composizione delle Camere del marzo 2018 e i dati che escono da innumerevoli e ravvicinate elezioni regionali non sfugge alle analisi degli esperti e viene monitorata dal Quirinale.

Una sorta di “disallineamento” di rappresentanza – teorizzato da diversi costituzionalisti tra cui l’illustre Costantino Mortati – che certo non è sufficiente per ipotizzare un intervento del presidente sul governo. Peraltro una evenienza del genere non si è mai verificata nella storia repubblicana.

A meno che – questa è la tesi di alcuni costituzionalisti (il Quirinale non si è mai espresso) – l’esecutivo non tirasse del tutto i remi in barca, galleggiando immobile su un tessuto parlamentare “disallineato”, senza mostrare alcuna spinta riformatrice.

Cosa che per la verità ad oggi non sembra, visto che il governo ha portato a casa la legge di Bilancio, sta lavorando sulla riduzione del cuneo fiscale ed anche ad un costoso adeguamento delle pensioni che riduca lo strappo che comporterebbe la fine traumatica di “quota 100”.

Ecco quindi è proprio questa “concretezza” che ora il Colle chiede ai partiti di maggioranza di non far venire meno. Anzi, bisognerebbe aumentare il tasso di pragmatismo nei prossimi mesi. La vittoria di Bonaccini in Emilia Romagna ha certamente allentato la tensione all’interno del governo. Ma questa boccata d’ossigeno per la maggioranza non deve dimostrarsi un alibi: ora bisogna pensare ai problemi del Paese, è il mantra che circola nel Palazzo che fu dei Papi.

Anche perché sullo sfondo si avvicina un importante referendum su una legge costituzionale che chiederà agli italiani di confermare o meno una storica riduzione del numero dei parlamentari. Non è cosa da poco per i delicati e complessi meccanismi istituzionali repubblicani. Le cose vanno fatte bene. A partire dai tempi che il governo sembra intenzionato a ridurre al massimo, tanto che il referendum è stato convocato dal Consiglio dei ministri già per il 29 marzo.

Una contrazione che comunque difficilmente potrebbe rendere possibile un eventuale – e oggi decisamente meno in agenda – voto anticipato prima dell’estate. Anche se si votasse a fine marzo servirebbero poi in ogni caso altri 60 giorni per rendere applicabile la riforma. Obbligatorio sarebbe una revisione dei collegi elettorali per adeguarli al numero ridotto di seggi di Camera e Senato.

E in discussione c’è anche una ben più radicale riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Ove mai si arrivasse allo scioglimento dovrebbero passare altri 60 giorni per far votare i cittadini. Ed ecco che saremmo in piena estate. Intanto il governo ha davanti praterie che sarebbe grave non percorrere.

(Di Fabrizio Finzi/ANSA)

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