Gli italiani a Wuhan: “Tutti in casa, città deserta”

Team di medici e infermieri in arrivo a Wuhan per rinforzare il personale degli ospedali locali.
Team di medici e infermieri in arrivo a Wuhan per rinforzare il personale degli ospedali locali. EPA/STRINGER CHINA OUT

PECHINO. – Dopo cinque giorni di fila, la pioggia ha ceduto il passo a un tiepido sole: una bella notizia per Wuhan, ormai ridotta ad una città fantasma per l’epidemia del coronavirus, ma da secoli in costante lotta con l’acqua, stretta tra i fiumi Yangtze e Han, e i numerosi laghi che la circondano.

“Ne abbiamo approfittato subito tutti, siamo andati fuori e così anche i nostri figli si sono potuti sfogare”, afferma con sollievo sciogliendosi in una risata Lorenzo Mastrotto, manager di una società della meccanica e decano degli italiani residenti in questa metropoli da 11 milioni di abitanti. Un’ora di tempo in tutto, più che sufficiente per allentare le tensioni della crisi che ha bloccato finora nella città una cinquantina di connazionali.

In attesa del piano di evacuazione della Farnesina con il ponte aereo in via di definizione con le autorità cinesi, la vita scorre con relativa normalità. “C’è un buon clima, tutto sommato. E’ come essere a casa per il Natale, ma senza i parenti”, racconta ancora Mastrotto nella conversazione telefonica. “Intendo dire che siamo tutti chiusi in casa come nelle grandi occasioni, aspettando l’evento a lungo atteso”.

Ci sono le scorte dei beni primari da tenere sott’occhio, a partire dai generi alimentari. “Al momento nei supermercati si trova di tutto e quando si esce ci si avventura in una città che è ovviamente deserta”, con le file di taxi pronti a svolgere un’attività gratuita di sostegno a chi ha problemi a muoversi.

In casa, dopo la preparazione dei pasti, le accurate pulizie disinfettanti con l’amuchina e i compiti dei ragazzi da seguire (“stanno vedendo la tv un po’ più del solito”), ci sono i contatti via chat da tenere con i connazionali e con i vari gruppi di condivisione di informazioni con la comunità cinese.

La solidarietà è infatti l’elemento emerso con forza durante la crisi. “Tra di noi – osserva Mastrotto – cerchiamo di darci il maggior sostegno possibile, abbiamo la mappatura di tutti i supermercati e di quello che è possibile trovarci. Per cui è molto facile dare le migliori dritte possibili”.

Nella comunità italiana le esigenze sono molto diverse: chi non è residente in pianta stabile a Wuhan avverte maggiormente la necessità di andare via, avendo ad esempio problemi non secondari come l’imminente scadenza del visto da studente. Per molti, l’opzione della partenza resta quindi una scelta obbligata.

“La città – osserva ancora Mastrotto – ha reagito come non mi sarei mai aspettato: nessuno in questa occasione ha creato e crea problemi. Si percepisce la volontà di darsi una mano a vicenda”.

Nel suo compound di Hankou, area residenziale a nord della città, lunedì sera ha spopolato sui social il video dell’urlo liberatorio ‘Wuhan jiayou’, forza Wuhan, scandito all’unisono dalle centinaia di persone chiuse nella quindicina di grandi palazzi, seguito poi dalle note dell’inno nazionale cinese. Una prova di appartenenza e di coesione che “non ho mai visto così forte nei miei precedenti 13 anni passati qui a Wuhan”.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)