Una russa evade dalla quarantena: “Era una gabbia”

Una donna di 32 anni è "evasa" dalla clinica Botkinskaya di San Pietroburgo dove era stata posta in quarantena
Una donna di 32 anni è "evasa" dalla clinica Botkinskaya di San Pietroburgo dove era stata posta in quarantena. (ANSA- allasand/instagram.com) [email protected]

MOSCA.  – “2020, fuga dal reparto Coronavirus”. É la surreale storia di una donna russa di 32 anni, Alla Ilyina, internata in quarantena presso l’ospedale Botkinskaya di San Pietroburgo poiché rientrata da una vacanza nella provincia di Hainan, in Cina, e considerata a rischio, nonostante le analisi siano risultate ripetutamente negative. Il suo caso è simile a quello di tanti altri, con la differenza che Alla ha deciso di ribellarsi ed evadere dall’ospedale, scassinando la serratura digitale della sua stanza.

La vicenda è stata descritta dalla testata pietroburghese Fontanka, e poi rilanciato da altri media. Ilyina ha raccontato come, “da cittadina responsabile”, abbia contattato i servizi sanitari dopo aver accusato un mal di gola al rientro dal viaggio in Cina. Da qui il ricovero preventivo che, nel giro di una notte, si è trasformato in coatto, per almeno 14 giorni. Le condizioni, dice, erano tremende: una stanza squallida, niente internet, scarsa attenzione del personale medico, dubbia pulizia. Così, al secondo giorno di ricovero, ha deciso di farla finita. “Quando è arrivata la sera e il personale medico ha abbassato la guardia, ho messo in corto circuito la serratura magnetica nella mia stanza: ho studiato fisica, il che mi ha aiutato”, ha raccontato Ilyina su Instagram.

“La nostra Costituzione garantisce la libertà, non capisco perché dovevo stare in gabbia in ospedale”, ha dichiarato poi ai media. Il suo esempio ha ispirato altre degenti del reparto, che si lamentano per le condizioni di isolamento. Il primario dell’ospedale, però, ha usato parole di fuoco, dándole “dell’irresponsabile”, e annunciando di averla denunciata alla polizia.

Ma Alla, che è scappata venerdì scorso, sostiene di non essere stata contattata da nessuno, né agenti né ospedale. La sua storia sta diventando un simbolo della gestione, a tinte fosche, dell’emergenza coronavirus da parte delle autorità russe.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)

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