Brexit, l’odissea di un 95enne italiano in Gb da 68 anni

L'italiano 95enne Antonio Finelli con residenza nel Regno Unito da 68 anni.
Il 95enne Antonio Finelli con residenza nel Regno Unito da 68 anni. (Today)

LONDRA.  – Nuovo, paradossale intoppo nel sistema informatico del Settlement Scheme creato dal ministero dell’Interno britannico per assicurare il mantenimento anche dopo la Brexit dei diritti attuali dei cittadini dei Paesi Ue già residenti nel Regno Unito. E a farne le spese è stato di nuovo un italiano vicino al secolo di vita, trapiantato oltre Manica da decenni, come denuncia il giornale progresista Guardian citando tra l’altro fonti di un patronato Inca Cgil a Londra.

Dopo il caso – affrontato solo in seguito allo scandalo mediatico – di un connazionale 101enne, Giovanni Palmiero, cui il sistema digitale rifiutava la registrazione automatica in assenza della firma dei genitori, confondendo la sua data di nascita (1919) con quella di un bambino d’un anno (2019), questa volta a trovarsi in difficoltà è stato un uomo di 95 anni: Antonio Finelli, classe 1925, che vive nel Regno dal ’52, vi ha lavorato tutta la vita e riceve una pensione britannica da ben 32 anni; ma al quale l’implacabile computer dell’Home Office ha chiesto comunque d’allegare una qualche “prova” di residenza.

Finelli, che ha perso la moglie e l’unico figlio, si dice inquieto – data la disavventura burocratica appena sperimentata – per i diritti dei propri nipoti. “É tutto sbagliato”, si lamenta, ricordando d’essere in possesso da quasi 70 anni di un cosiddetto “aliens certificate”, lo storico certificato di regolarizzazione dei migranti rilasciato nel Regno secondo la normativa in vigore fra il 1918 e il 1957. Ma di aver dovuto produrre ora “80 pagine di rendiconti bancari” per poter far infine avanzare la pratica del suo “settled status”.

La vicenda è stata risolta grazie anche all’intervento dell’ambasciata italiana a Londra. E Finelli alla fine si è visto riconoscere lo status. Ma Dimitri Scarlato, volontario del patronato Inca Cgil, contesta comunque il vulnus della procedura informatica britannica per questo tipo di casi – limitati in termini numerici e finora sempre poi superati – e tuttavia fonti di ansie preoccupanti per le persone più anziane. Finelli – protesta Scarlato al Guardian, osservando come la documentazione di residenza degli immigrati più vecchi (e vulnerabili) non sembri essere stata in effetti digitalizzata – “ha vissuto qui tutti questi anni, eppure il sistema informatico lo tratta come se non esistesse. Perché? É inaccettabile”.

Alberto Costa, deputato conservatore di radici italiane impegnato da tempo per la tutela post Brexit dei connazionali, assicura intanto d’aver sollevato di fronte ai ministri del governo Tory di Boris Johnson la questione dei dati non archiviati a livello digitale sulle evidenti prove di residenza di persone arrivate nel Paese “50 o 60 anni fa”.

E invoca una soluzione generalizzata. “I controlli automatici – si limita a rispondere per ora l’Home Office – garantiscono alla gran maggioranza dei richiedenti la registrazione, senza Dover produrre prove ulteriori. Ma, quando è necessario, accettiamo come prova un’ampia varietà di documenti, dalle ricette mediche alle bollette, alle lettere d’istituzioni assistenziali”.

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