Conte alla prova Senato. Renzi avverte: “Se cade, altro governo”

Matteo Renzi durante la trasmissione televisiva Porta a Porta in onda su Rai Uno
Matteo Renzi durante la trasmissione televisiva Porta a Porta in onda su Rai Uno, Roma, 17 settembre 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

ROMA. – Tre lunghe riunioni sull’agenda 2023 mitigano solo in parte lo scontro violento tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi. E, alla vigilia dei primi voti in Aula, a partire dal decreto intercettazioni al Senato, l’ex premier torna all’attacco puntando il mirino direttamente sull’attuale inquilino di palazzo Chigi e provando a compattare sulla sua linea tutti i suoi parlamentari.

“Se cade il Conte Bis, ci sarà un nuovo Governo. Non le elezioni”, è il chiaro messaggio che Renzi invia alla maggioranza. Messaggio che per ora ha come replica solo un gelido silenzio. Mentre a palazzo Chigi ci si confronta sulle modifiche ai decreti Sicurezza concertando, al momento, solo il metodo di lavoro ma non una vera e propria intesa.

Il capo del governo, assicurano i suoi collaboratori, in queste ore è “tranquillo e impegnato sull’agenda 2023”. Nessun timore, insomma, anche rispetto ai voti che, nelle prossime ore, ci saranno alla Camera – sul Milleproroghe – e soprattutto al Senato.

Certo, per evitare spiacevoli colpi di scena il governo si tutela: sul decreto previsto in Aula a Palazzo Madama è probabile che si ponga la fiducia. E, osservano fonti di maggioranza, in quel caso sarà interessante vedere non solo chi voterà la fiducia ma anche chi, tra le forze di opposizione, sarà assente.

Anche perché, al di là delle smentite, l’operazione “responsabili” resta in piedi, con tutto lo strascico di veleni e polemiche. E’ un’operazione con cui la maggioranza potrebbe costruire una sorta di “cordone sanitario” in caso di blitz di Iv. Ma è una strategia che presenta diversi incognite e che non sembra convincere tutti.

Resta poi da verificare l’atteggiamento dei renziani: descritti come costruttivi e collaborativi ai tavoli del governo su salute, scuola e perfino immigrazione e allo stesso tempo agguerritissimi nelle parole del loro leader e in quelle di Teresa Bellanova.

“Sulla prescrizione non cediamo di un millimetro”, assicura la capodelegazione confermando che sulla pdl Costa ci sarà una convergenza con le opposizioni. E attaccando frontalmente il Pd: “Si sta consegnando al populismo del M5S”. E Renzi incalza sottolineando come diversi suoi senatori siano stati “avvicinati” con la richiesta di sganciarsi da Iv con risultati fallimentari.

“Per un Conte ter non hanno i numeri e se stanno accorgendo in queste ore”. Parole che innescano l’ennesimo scontro interno alla maggioranza, con il M5S che puntano il mirino sul viaggio dell’ex premier tra le montagne pakistane. “C’è chi come noi lavora per gli italiani, e poi c’è chi preferisce farsi una vacanza e sciare con l’alta finanza in Pakistan…”, attacca Stefano Buffagni.

“Posso fare due giorni sugli sci o devo chiedere il permesso al Tribunale dell’antirenzismo?”, replica il leader di Iv. Ai tavoli di Palazzo Chigi, però, il clima è più sereno, anche se il nodo delle modifiche ai decreti Salvini non viene sciolto. Alla riunione il M5S presenta tutte le sue anime: quella più dura, rappresentata da Vito Crimi e Manlio Di Stefano e quella più dialogante con il Pd, impersonata da Giuseppe Brescia.

“Nessuna tensione”, assicurano i partecipanti ma l’accordo emerge su pochi punti. Innanzitutto sul fatto che i decreti Salvini non saranno cancellati tout court (“non avrebbe senso, ci sono norme sulla polizia che vanno mantenute”, spiega Brescia) e sul rafforzamento, rispetto all’interventi dei decreti sicurezza, del sistema dello Sprar.

Più lontane lo posizioni su come definire la protezione umanitaria per i migranti che, nel M5S, si vorrebbe circoscritta solo a casi specifici.

E, sullo sfondo, resta il nodo nomine. I voti del Parlamento sui componenti di Agcom e Privacy sono attesi per mercoledì ma, molto probabilmente, slitteranno. Anche perché sulle presidenze delle due Autority, complici le frizioni con Iv, l’accordo sembra latitare. Con un’appendice: sul presidenze di Agcom serve il sì dei 2/3 delle commissione parlamentari Lavori Pubblici. Insomma, come spiega a sera una fonte di governo, “siamo alla quiete prima della tempesta”.

(di Michele Esposito/ANSA)