Coronavirus colpisce il Referendum, ma Conte frena sul rinvio

Un'immagine del Consiglio dei Ministri straordinario alla protezione civile
Un'immagine del Consiglio dei Ministri straordinario alla protezione civile, Roma, 22 febbraio 2020. ANSA/ATTILI/US CHIGI

ROMA. – Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte frena sulla richiesta di rinvio del referendum sul taglio del parlamentari del 29 marzo, avanzata nuovamente da più voci schierate per il “no”. Il grosso dei parlamentari, tuttavia, indipendentemente dall’appoggio al “sì” o al “no”, fa il tifo per lo slittamento di un paio di mesi, perché questo chiuderebbe la “finestra” del possibile voto anticipato a settembre-ottobre, il che allungherebbe la legislatura almeno fino a febbraio 2021.

A rilanciare la richiesta, con uguali motivazioni, sono stati il Partito Radicale, il professore Massimo Villone, presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale, +Europa con Benedetto Della Vedova. Ma anche Forza Italia, con la presidente dei senatori Anna Maria Bernini, sembra aperta alla possibilità di rinviare il voto.

“Non può essere considerata un’eresia l’ipotesi di rinviare il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari”, ha detto. Il ragionamento è semplice: l’emergenza coronavirus, con i divieti di incontri e manifestazioni per ora nelle sole zone dei focolai, rende impossibile la campagna referendaria. E già ora, sottolineano la Fondazione Einaudi e il Comitato noiNo, lo spazio sui mezzi di informazione è nullo.

Conte taglia corto a tutti questi ragionamenti. “Non dobbiamo ipotizzare in questo momento scenari drammatici, sono fiducioso perché gli esperti dicono che le misure sono efficaci e daranno risultati”. Tradotto: se rinviassimo il referendum indurremo ancora più il panico serpeggiante che già oggi circola in modo ingiustificato.

Anche se pochi lo dicono apertamente in Transatlantico, molti parlamentari apprezzerebbero un rinvio a maggio. Infatti con questo slittamento i collegi elettorali sarebbero pronti solo a fine agosto, il che renderebbe impossibili eventuali urne anticipate a settembre-ottobre (in caso di crisi di governo), scenario invece tecnicamente possibile con il referendum il 29 marzo.

Poi ci sarebbe la legge di Bilancio a fine anno, e così si arriverebbe a inizi 2021. Solo l’ex M5s Gloria Vizzini non teme di avanzare la richiesta esplicitamente. A parte la volontà di evitare scelte che aumentino la psicosi da coronavirus, il governo frena comunque anche perché la macchina organizzativa del Viminale è già partita: sono stati già stampati e spediti i plichi e le schede per gli italiani residenti all’Estero con tanto di data “referendum del 29 marzo”.

Se poi per ragioni oggi non prevedibili e non auspicabili il governo dovesse mutare idea, e puntasse a un voto a maggio, occorrerebbe una determinata prassi, come spiega Stefano Ceccanti, deputato Pd, costituzionalista e fautore del sì al referendum: “Il ministero dell’Interno dovrebbe convocare il Comitato promotore dei senatori che hanno raccolto le firme e chiedere loro l’assenso, come quello dei gruppi parlamentari, in modo da varare un decreto che poi sia approvato dalle Camere senza incidenti”.

E la Fondazione Einaudi, il Comitato noiNo e Tommaso Nannicini (uno dei tre senatori che ha promosso la raccolta di firme che ha condotto al referendum), hanno già chiesto un incontro all’esecutivo. Un precedente esiste: il 3 marzo 1996 il ministro Giovanni Coronas, del governo Dini, convocò al Viminale tutti i gruppi e ottenne l’assenso su un decreto che risolveva una norma controversa sui criteri di annullamento delle schede nelle imminenti elezioni.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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