Cinema: una ‘Picciridda’ tra emigrazione a abusi

Una scena tratta dal film "Picciridda" di Paolo Licata.
Una scena tratta dal film "Picciridda" di Paolo Licata. (ANSA)

ROMA. – Lucia, graziosa ragazzina siciliana degli anni Sessanta, si ritrova a confrontarsi con una storia, tra emigrazione e abusi, più grande di lei. È quello che accade in ‘Picciridda’ di Paolo Licata, già in concorso al Taormina Film Fest e in sala da domani con Satine Film.

Tratto dal romanzo omonimo di Catena Fiorello, il film mette in campo una ‘gigantesca’ Lucia Sardo (nei panni di nonna Maria) che si ritrova a crescere una nipotina, Lucia (interpretata da bambina da Marta Castiglia e, da adulta, da Federica Sarno), nella più solare e mediterranea isola di Favignana, nell’arcipelago delle Egadi.

Di scena nella storia, ma solo sullo sfondo, il fenomeno dell’emigrazione passiva, che vede coinvolta appunto Lucia, bambina di dieci anni i cui genitori decidono di emigrare in Francia lasciandola in Sicilia con nonna Maria, una donna tanto buona quanto apparentemente anaffettiva.

Ma nella famiglia dell’anziana donna, la più brava nel paese a vestire i morti, si scoprirà solo alla fine, c’è un segreto i cui effetti sono ancora pronti a mostrarsi in tutta la loro forza. E sarà proprio Lucia, con la sua curiosa semplicità, destinata a rivelare quell’oscuro mistero che pesa da anni sulla sua famiglia.

“Durante la lavorazione del film e nel corso delle riprese a Favignana – spiega il regista, alla sua opera prima – ho avuto modo di convincermi ancor di più di come questa storia sia un racconto attuale, simbolico ed emblematico. Adesso più che mai, ad ogni latitudine e in ogni epoca, l’infanzia, intesa come l’età della vulnerabilità, ma anche della formazione e dell’apertura a tutte le possibilità, può subire violenza e prevaricazione”.

E ancora Paolo Licata, già assistente alla regia de ‘Il sole nero’ di Krzysztof Zanussi e ‘Rosso Malpelo’ di Pasquale Scimeca: “Ho voluto in qualche modo rappresentare le atmosfere siciliane di quell’epoca – dice – . Dopo aver letto il libro di Catena Fiorello ho amato, oltre alla storia che trovo ancora molto attuale, proprio quei sapori, quelle atmosfere che vengono così bene rappresentate”.

“La mia principale mission – conclude il regista – è stata quella di far immedesimare il maggior numero possibile di persone nel micro-universo raccontato dalla storia. Quando giro un film, punto a trasmettere emozioni. Una cosa è certa – conclude – alla proiezione a Taormina la sala era piena. Non solo. Molti a fine film piangevano, una cosa che mi ha reso felice”.

Così, infine, inizia il libro di Catena Fiorello edito da Giunti: “Abitavo in un paese affacciato sul mare, e mi sentivo la figlia della gallina nera. E non una gallina nera qualunque, ma la nera più nera che si potesse immaginare. Starnazzava tutto il giorno, e non le andava nemmeno di fare le uova. Quelle cui era capitato un destino diverso, erano figlie delle galline bianche. Ma questa è un’altra storia”.

(di Francesco Gallo/ANSA)