Lo spacciatore di droga

Un'immagine dello "llano venezolano"
Un'immagine dello "llano venezolano"

– No, Lorenzo – soleva rispondergli la madre a ogni lettera in cui il primogenito, ormai con un lavoro stabile a San Fernando nello stato Apure[1], dove gestiva una tenuta come se ne fosse il proprietario, le chiedeva di firmare il permesso al fratello Alberto, ancora minorenne, per farlo emigrare come aveva fatto lui. – Non è ancora maturo per questo passo. È un ragazzo scapestrato che mi crea solo problemi e non è giusto che me li tolga io per accollarli a te.

Alla fine, l’insistenza di Lorenzo ha la meglio sugli accertati presagi della madre e, così, Alberto parte con un aereo che impiega dodici ore per atterrare nel nuovo, appena ristrutturato, aeroporto di Maiquetía[2].

Durante il tragitto da Caracas per arrivare a casa, alla vista di un’immensa prateria che il fratello chiama “el llano“, il ragazzo rimane impressionato da quel paesaggio bellissimo che non solo cambia di tonalità ad ogni tratto, ma che rivela, mostrandola a mani piene, la ricca e spettacolare gamma di fauna e flora. Così, tra boschi, savane e morichales[3], vede scorrere ruscelli dalle acque cristalline sulle cui sponde abbondano i capibara, i cervi caramerudos[4] e persino gli orsi formichieri, sorvegliati tutti a distanza dai feroci caimani che, nascosti tra le canne, in agguato, sono pronti a lanciarsi come rane saltatrici. Se, poi, alza lo sguardo verso l’alto, oh! quanta bellezza si rivela davanti ai suoi occhi attoniti. A tratti, l’azzurro intenso del cielo senza nuvole, si tinge di colore che cambia dal bianco al rosa per uno stormo di aironi che, in volo sincronizzato, va in cerca di prati dalle erbe basse in cui deporre le uova.

– Grazie fratello – dice infine, estasiato, Alberto – per questo regalo che non immaginavo fosse così bello.

Lorenzo gioisce per quelle parole e pensa che non dovrà essere poi così feroce il lupo, se si commuove di fronte ad un paesaggio di quella natura vergine; di sicuro i sentimenti saranno latenti nell’anima del giovane e basterà annaffiarli con l’acqua benedetta per farli fiorire come cespugli di rose nei giardini. Dovrà ricredersi, però, poiché il tempo rivelerà che le avventure amorose, nascosto in mezzo ai campi di granturco, e le scorrazzate come un capriolo all’aria aperta lungo la pianura sconfinata, non sono affatto uno scudo alle imboscate soprattutto se le esche, che fanno cadere impigliati nelle maglie della rete, sono allettanti. Accade infatti che, trascorsi due o tre anni da quando il giovane vive nella tenuta, aiutando il fratello a sorvegliare le attività di mungitura e a controllare che i cavalli siano al completo a fine della giornata quando il sole sprofonda negli abissi dietro l’orizzonte, in una notte di luna piena, che sembra un immenso faro sospeso in cielo, s’imbatte in due persone armate fino ai denti.

– Altolà, giovane – gli dicono puntando i fucili all’altezza del suo petto. – Non lo sai che è pericoloso andare in giro da soli per questi sentieri, rifugio dei guerriglieri che combattono qui, e anche al di là della frontiera, per liberare entrambe le patrie dal giogo dell’oligarchia succhiasangue? Sei in arresto. Seguici senza fare storie se vuoi evitare problemi.

– Io non so niente di guerriglie né di patrie libere –risponde Alberto agitato e spaventato fino al midollo. – Sto andando da Guadalupe che ieri mi ha invitato perché la madre, donna Natera, è partita per San Fernando dove il figlio maschio riceverà domani il diploma di scuola superiore, lasciandola da sola in casa.

Non servono a niente le spiegazioni, né tantomeno gli strattoni del ragazzo per cercare di liberarsi da quelle mani ruvide che con forza gli torcono le braccia dietro la schiena per legargliele. Nel frattempo, nella tenuta, trascorsi vari giorni, Lorenzo non sa cosa fare, non sa più dove cercarlo. Migliaia di pensieri gli affollano la mente.

– Sarà stato squartato da qualche giaguaro, sempre in agguato tra i cespugli? – pensa. – Oppure sarà fuggito con quella ragazzina che sicuramente gli avrà fatto provare il nettare dell’amore, stregandolo fino al punto di annullargli la volontà, già fragile di natura? Che cosa dirò alla mamma se non riappare?

Non riappare, in effetti, né giungono telefonate come di solito accade quando nei pressi della frontiera vengono sequestrati i possidenti per chiedere il riscatto. Scomparso, insomma. Svanito, come il piccolo scarafaggio che improvvisamente si dilegua sotto gli occhi attoniti di chi lo insegue per schiacciargli il disgustoso corpo appiattito. Finché un giorno, dopo quasi sei anni, quando la madre in Italia e il fratello in Venezuela si erano ormai rassegnati al destino del parente, esce sul giornale la notizia che un giovane, senza documenti, ma con evidente accento italiano, si trovava recluso in un ospedale di Caracas, dove si cercava di salvargli la vita per avere ingerito vari involucri di droga, uno dei quali, rompendosi, aveva compromesso alcuni organi vitali.

Quando Lorenzo ne viene a conoscenza, ha il presentimento che si possa trattare del fratello. Così, parte subito per Caracas e appena gli mostrano il malato, nonostante il volto sembrasse quello di un cadavere per com’era ridotto e per il gran pallore, non ha più dubbi. Lo riconosce. È proprio lui.

– Che ti è successo, Alberto? – gli chiede, quasi sussurrando le parole.

Il giovane cerca di rispondere mormorando a sua volta qualche sillaba, ma non riesce più di tanto. La voce gli si blocca in gola e le labbra bianchicce stentano ad aprirsi. Chiude gli occhi, quindi, e li riapre solo il giorno dopo all’ora del tramonto, quando le tenebre cominciano a tingere di nero i paesaggi. Mentre dorme, è il medico a raccontare la prima parte dell’accaduto. Riferisce che una persona lo porta in ospedale per fortissimi dolori che gli straziano l’addome. Lo lascia da solo, e sfuma come un fantasma in un castello abbandonato. La radiografia, poi, rivela che ha quattro involucri nello stomaco, uno dei quali è perforato.

− Siamo stati costretti ad operare prima che la polvere, che sospettavamo fosse una droga, come in effetti era, potesse compromettere del tutto gli organi vitali – conclude il medico, in presenza di un poliziotto che stava lì di guardia.

Alberto, finalmente, alza la mano sinistra, perché la destra era ammanettata alla ringhiera del letto, e raggiunge il braccio del fratello, stringendoglielo con forza come se gli volesse chiedere perdono. Due spessi lacrimoni scendono dai suoi occhi e, con uno sforzo immane, tira fuori dal profondo dell’anima le parole amare intrise di dolore che sembrano sincere.

− Fratello – dice tra un singhiozzo e l’altro. – Sono stato vittima della lussuria e del denaro facile. Quando mi hanno sequestrato nei pressi della tenuta, non sono stato maltrattato come, invece, facevano con gli altri prigionieri. Anzi, al contrario. Non c’era giorno senza che in quella catapecchia dove mi tenevano, non arrivasse qualche bella mulatta a rallegrarmi le notti con le sue carezze, che sentivo dolci come il miele. Di giorno, poi, mi mandavano assieme ad un peón[5] a consegnare dei sacchetti sigillati a una persona dall’aspetto distinto che ci aspettava in una pista d’atterraggio clandestina dove in un viavai continuo decollavano e atterravano piccoli velivoli. Al principio, non sapevo che cosa contenessero quegli strani pacchetti. Il mio unico interesse era di andare a quegli appuntamenti, poiché, al rientro, Tomás, il Comandante, mi ricompensava sempre con una manciata di dollari che, giorno dopo giorno, si moltiplicavano nelle mie tasche, anche perché non c’era modo di spenderli in mezzo a quella boscaglia lontana dalla città.

− Come spieghi, allora, quegli involucri nello stomaco che per poco ti spediscono diritto al camposanto? – lo interrompe Lorenzo ormai cosciente della vita che d’ora in avanti sarebbe toccata al fratello. – Essi – risponde il giovane con un’enorme tristezza che si riflette sul suo volto afflitto – contengono una polvere dal valore inestimabile, una droga costosissima di cui si fa uso soltanto fuori, nei paesi dove il denaro scorre come il vino in un banchetto reale. Bisogna portarli così per sfuggire ai controlli. Se hai fortuna, diventi ricco in poco tempo. Altrimenti, è la fine, come per me ora.

Giusto presagio quello di Alberto il quale, sebbene manifesti dispiacere per il danno fisico procurato a sé stesso ed anche per l’affronto al fratello che sempre volle credere alle sue buone intenzioni, non pronuncia mai una parola di pentimento per la sua vita messa al servizio delle cattive azioni. Se lo portano in galera non appena le gambe riescono a sopportare il peso del corpo indebolito e, ad un anno o meno di condivisione in carcere con individui della peggiore specie che di umano hanno solo un cervello per pensare a cose vili, la testata di un giornale annuncia in questo modo la sua tragica fine: “Giovane italiano assassinato nella sua cella durante una rissa tra due bande rivali”.


[1] San Fernando è la capitale dello stato Apure, situato nella parte sud-occidentale del Venezuela al confine con la Colombia. La città ha una popolazione di 175.000 abitanti e l’area circostante è caratterizzata da una savana subtropicale molto umida adatta agli allevamenti di bestiame.

[2] Il riferimento è all’aeroporto internazionale Simón Bolívar, il più importante del paese, situato nell’area di Maiquetía, cittadina dello stato Vargas, a una ventina di chilometri da Caracas.

[3] Si legga moriciales. Specie di palme che in Venezuela crescono silvestri nelle zone paludose e acquitrinose.

[4] Cervi dalla coda bianca, tipici della savana venezuelana, in serio pericolo di estinzione.

[5] Vedere Nota 2, Cap. XI.

Lascia un commento