Coronavirus, storico Canali: “Mezzi di comunicazione decisivi come per Spagnola”

In una foto d'archivio lo storico Mauro Canali durante un intervento in tv.
In una foto d'archivio lo storico Mauro Canali durante un intervento in tv.

PESCARA. – “Dalla mia solitudine di studioso eremita, ho l’impressione che questi bollettini di guerra mediatici a volte fuorvianti, hanno il merito di aiutare la gente a non sentirsi sola: i media in similitudine ma anche a differenza di quanto accaduto durante la Spagnola ci stanno insegnando che siamo comunità, paese globale. Perché se durante la Spagnola la gente ‘sapeva’, era informata dai media come mai prima, ma era sola, abbandonata, specie le classi minori che morivano a milioni, oggi invece questo spavento non ci esclude dagli altri”.

Lo racconta all’ANSA Mauro Canali, grande storico del 900, tra i massimi mondiali del fascismo. La tesi insomma è che “pur non escludendo disordini sociali, allora la solitudine umana fu superiore. I media allora con la Spagnola cambiarono la società definitivamente assieme alla Guerra, oggi lo stanno rifacendo con una velocità incredibile: con i social e i media tutti abbiamo paura, ma siamo partecipi, non siamo passivi.

Le autorità ribattono sui media una super informazione che allora non c’era, o meglio oggi ci danno delle soluzioni che al tempo della Spagnola non si sapevano, con provvedimenti globali, scienziati in tv. Tutti sappiamo che i media nel 900 sono stati decisivi, da Radio Londra ai discorsi radio di Churchill o il Polesine e Firenze 66. Ma oggi ‘l’attenzione’ è coscienza planetaria come mai in precedenza”.

Ci unisce la paura quindi, “perché la Spagnola cambiò la consapevolezza dei rapporti promiscui, una volta per sempre. Non fu la Spagnola a modernizzare i tempi, ma ci disse ‘ecco la piaga, state tutti attenti’ e questo ebbe una ricaduta formidabile sul prestigio dei media. Oggi si utilizza il covid per pathos e non per razionalità, ma il terrore sparso contribuisce a rendere partecipe tutti, globalizza la coscienza. E’ un grande momento per i media”, insiste Canali.

Si direbbe che sia una fortuna questo coronavirus, se non fosse una tesi tutta da spiegare. Ma uno storico prova sempre a ragionare ‘alto’ e questa ‘fortuna’ ha un grande impatto sullo studio, anche quello che verrà sulla pandemia. “Il coronavirus è una grande fortuna per uno storico a prescindere dall’argomento di cui si occupa.

Lavoro 12 ore al giorno in totale tranquillità, leggo tutti i documenti accumulati per il mio prossimo lavoro sulle spie durante la Guerra Fredda senza la foga della fretta, connetto fatti, fascicoli e persone, con una serenità da eremita. Perché sì, lo storico è un solitario. Ho più profondità nell’analisi e nel risultato. Il silenzio dei social e del telefono è una benedizione. Nella tragedia collettiva questo stop è positivo: uno storico può vedere poi questa contemporaneità centellinando il suo lavoro e analizzando da lontano quanto accade oggi”.

“Accade che sparisce l’angoscia del tempo ristretto; una manna per noi storici. Ma anche per un osservatore contemporaneo. Si guadagna in qualità di studio. Ossia l’esatto opposto della vita moderna – ammette dalla sua casa di Roma – non ti distrai, sei più ordinato, è più difficile che ti sfugga qualcosa, perché nella ricerca storica è tutto connessione, tutto deve avere un senso. Oggi poi abbiamo come studiosi la fortuna di vedere sotto ai nostri occhi una pandemia moderna dal tempo della spagnola. Capisco i dubbiosi, ma per gli studiosi è un grande momento”, termina Canali.

(di Luca Prosperi/ANSA)