Coronavirus, colloqui Skype detenuti a Bari: “E’ come tornare a casa”

Detenuti aggrappati alle sbarre delle finestre del carcere di Poggioreale durante la protesta per Coronavirus.
Detenuti aggrappati alle sbarre delle finestre del carcere di Poggioreale durante la protesta per Coronavirus. ANSA / CESARE ABBATE

BARI. – Collegati con le famiglie via Skype è come se i detenuti tornassero a casa per un po’. In piena emergenza sanitaria, con il rischio di contagio da coronavirus che nella carceri sovraffollate italiane sarebbe difficile da contenere, i colloqui diretti con le famiglie sono sospesi dal 9 marzo. Meno accessi alle carceri equivale a minor pericolo di diffusione del virus.

A Bari, come in quasi tutte le carceri italiane, è stata elaborata una procedura per garantire comunque i contatti dei detenuti con le famiglie e da venerdì, per limitare ulteriormente i contatti con l’esterno, anche con i difensori. E così, grazie alla tecnologia, collegandosi con le loro famiglie i detenuti possono rientrare virtualmente nelle loro case, ritrovare i luoghi cari, i loro animali domestici.

“Dopo una iniziale diffidenza ora sono contenti” spiega la direttrice della casa circondariale di Bari, Valeria Pirè. “Abbiamo centinaia di richieste” dice, rivelando che “con molti ci siamo commossi anche noi, perché cominciano a vedere il loro cane, come hanno ristrutturato il bagno. Tornano a casa”.

Qualche sera fa hanno seguito la diretta del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, “e si sono resi conto che la situazione è oltre ogni umana previsione, chiedono corrette informazioni e di non essere isolati, mantenendo il contatto con le famiglie e poi piccole cose, come detergenti disinfettanti per pulire le loro celle”. Lì dove i contatti sono inevitabili.

Fortunatamente non ci sono stati fino a questo momento casi positivi di coronavirus. Tutti i nuovi carcerati vengono comunque sottoposti a controlli nell’area esterna di triage e anche il personale, agenti di polizia penitenziaria, educatori e amministrativi, tutti muniti di mascherine, vengono sottoposti a misurazione della temperatura ogni volta che entrano.

“Loro vivono questa sindrome dell’assedio – spiega la direttrice Pirè – perché stanno in un contesto chiuso, ‘protetto’, e temono questa malattia che arriva dall’esterno, questo male non visibile, questo virus che accomuna le paure e le emozioni di tutti, guardie e ladri”.

Oggi nel carcere di Bari ci sono 420 detenuti. Per alleggerire la strutture sovraffollate e limitare così i contatti, è intervenuto il 17 marzo un decreto del Governo per la concessione di arresti domiciliari a chi deve scontare ancora un residuo di pena fino a 18 mesi, subordinata alla disponibilità di braccialetti elettronici.

“Un provvedimento assolutamente inincidente” commenta il Garante pugliese per i detenuti, Piero Rossi che invoca “una circolare ministeriale che imponga ai magistrati di sorveglianza di reclutare personale amministrativo” per provvedere alle scarcerazioni. Intanto la Sesta Commissione del Csm ha bocciato le misure previste per le carceri dal dl Cura Italia.

Il parere sarà discusso giovedì dal plenum di Palazzo dei marescialli. Secondo la Commissione, aver condizionato la detenzione domiciliare all’utilizzo dei braccialetti elettronici, di fatto indisponibili, “contribuirà significativamente” a rendere questo istituto “inadeguato a conseguire le finalità di una riduzione del sovraffollamento carcerario nell’ottica di contenere l’elevato rischio di un diffuso contagio all’interno degli istituiti penitenziari e di una migliore gestione dell’emergenza sanitaria”.

E di misure “inadeguate” parla anche l’Associazione nazionale magistrati che, ricordando la disponibilità “del tutto insufficiente” dei dispositivi elettronici, chiede “interventi urgenti e realmente incisivi che tengano conto del fatto che le carceri sono pericolosissimi luoghi di diffusione del contagio che espongono a rischio intere comunità”.

(di Isabella Maselli/ANSA)