Contagiato il principe Carlo, timori per la regina

La regina Elisabetta in una foto d'archivio.
La regina Elisabetta in una foto d'archivio.

LONDRA.  – I giochi di parole, anche i più scontati, sono a portata di mano: il principe in eterna attesa della corona britannica è stato infettato, come una beffa del destino, da un morbo che si chiama coronavirus. Ma in realtà la novità è seria.

L’erede al trono dei Windsor, Carlo, 71 anni, è risultato positivo al test del Covid-19, segno tangibile che la pandemia non solo continua a diffondersi nel Regno Unito sulla scia di tanti altri Paesi, ma che nessuno è necessariamente al sicuro. Non importa quanto in alto o quanto protetto sia.

La notizia è deflagrata in una nazione entrata nello scenario d’un vero lockdown solo da un paio di giorni, dopo il graduale cambio di passo del premier Boris Johnson rispetto alle speranze iniziali di una diffusione diluita sull’isola. Una nazione in cui il numero dei contagiati s’impenna, quello dei morti pure (con i primi giovanissimi, una ventunenne inglese e – pare – un 19enne italiano), mentre il Parlamento chiude i battenti a scopo cautelare anticipando di una settimana la pausa di Pasqua.

E ai guai della gente comune si aggiunge il timore delle istituzioni sul futuro di una famiglia reale “stagionata”: timori che non risparmiamo la pur inossidabile regina, 94 anni fra un mese.

Il principe di Galles, ha fatto sapere un portavoce di Clarence House, manifesta al momento sintomi lievi e “per il resto è in buona salute”. La diagnosi è stata certificata da un tampone fatto a domicilio da personale del sistema sanitario nazionale (Nhs) nel castello di Balmoral, in Scozia, dove si trovava in isolamento precauzionale già da alcuni giorni con la consorte Camilla, duchessa di Cornovaglia, che invece ha superato indenne l’esame. Per ora il ricovero in ospedale non viene neppure ipotizzato, ma data l’età la prudenza è d’obbligo.

Non è mancata la rassicurazione immediata sulle condizioni della regina, che a sua volta si è “auto-isolata” dalla settimana scorsa nel castello di Windsor assieme al quasi 99enne principe Filippo. “Sua Maestà è in buona salute e segue gli appropriati consigli” medici a tutela del suo “benessere”, si è puntualizzato da Buckingham Palace a stretto giro.

Il più recente incontro fra madre e figlio, aveva già sottolineato del resto lo staff di Carlo, risale al 12 marzo, in una ceremonia che è stato l’ultimo impegno ufficiale per l’erede: data tranquillizzante, stando ai medici di corte, secondo cui è da escludere che il padre di William e Harry possa essere stato infettivo prima del giorno 13. Altri esperti, citati da Sky, non sono tuttavia così sicuri.

L’unica cosa certa è che le persone entrate in contatto privatamente con il principe dopo di allora sono state tutte avvertite e controllate. E che con lui, oltre a Camilla, resta  adesso a Balmoral un gruppo ristretto di collaboratori. Quanto alla fonte del contagio, si sa poco o nulla. Il sensacionalismo di tabloid come il Daily Mail punta il dito verso il príncipe Alberto di Monaco, infettatosi prima di Carlo, ricordando come i due reali si fossero incontrati una ventina di giorni orsono per un evento.

Ma si tratta di pure illazioni: stando agli specialisti, non è infatti ad oggi “possibile accertare chi abbia trasmesso il virus” al figlio di Elisabetta.

Boris Johnson si è da parte sua limitato a rivolgere “a Sua Altezza gli auguri di una pronta guarigione”. E a precisare che fin dalla settimana scorsa i colloqui periodici fra primo ministro e regina si svolgono “per telefono”. L’ennesima conferma del fatto che non è più tempo di minimizzare nemmeno per il capo del governo Tory, impegnato intanto a minacciare gli imprenditori “profittatori” con leggi “da tempi di guerra” e a promettere nuovi aiuti pubblici anche per sostenere lavoratori autonomi e precari. Oltre che a intimare ormai a tutti di “stare in casa”.

Mentre, in attesa del picco dei ricoveri, arriva l’annuncio di 7,5 milioni di kit di equipaggiamenti protettivi reperiti col supporto dei militari per far fronte alle carenze denunciate in vari ospedali da medici o infermieri.

E qualche segnale di speranza rimbalza solo dal mondo della ricerca scientifica: da Oxford in particolare dove, oltre a rispuntare l’ipotesi controversa di una potenziale “immunità di gregge”, fa capolino una previsione meno pessimistica di altre sui tempi necessari a scovare l’arma decisiva del vaccino. “Sei mesi”, secondo i calcoli di minima del professor Andrew Pollard.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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