Antonio Ciardo, il coraggio di rincorrere la propria vocazione

MADRID – “Il 2006 fu l’anno della grande crisi, del default di Lehman Brothers, del collasso delle banche. Io volevo continuare a studiare e a formarmi. Le alternative erano due. Fare il tipico MBA, il master in “Business administration”, per continuare in un settore che stava entrando in una gravissima crisi; o studiare qualcosa di completamente diverso. Decisi di seguire il principio della diversificazione. Il mio amore iniziale era stata la medicina.  Così scelsi la passione. Ho iniziato a studiare osteopatia. Erano corsi universitari confezionati per chi lavorava. Dedicavo venerdì, sabato e domenica alla formazione presenziale e il resto della settimana a studiare mattina, pomeriggio, sera. Quando dovevo viaggiare portavo con me i libri. Studiavo come e quando potevo. Per me è stata una maniera di costruire un “Piano B”, un progetto che si è andato consolidando a poco a poco”. Caparbietà e una buona dose di coraggio. Ad Antonio Ciardo, Direttore Accademico di Philippus Thuban e Condirettore della “Clinica Philippus Thuban”, specializzata in medicina integrativa e terapie naturali, non sono mancate né l’una, né l’altra. È dimostrato che quando si uniscono volontà e spirito di sacrificio ci si può reinventare. Intraprendere una nuova strada, coscienti dei rischi e i pericoli che ciò comporta. Ma anche decisi ad affrontarli e a superarli.

– Domanda di rito. Come mai la Spagna?

– Il motivo principale, il cuore… l’amore – confessa Ciardo -. Mia moglie è spagnola. Dovevo scegliere se andare in Inghilterra o in Spagna. Scelsi la Spagna. La mia è stata una scelta di vita. Presi l’aereo quattordici anni fa e, come vedi, sono ancora qua.

– Come vi siete conosciuti?

–  Lei era una delle tante giovani Erasmus – ci dice -. A dir la verità, già aveva concluso l’Erasmus. Era stagista a Roma.  Era al suo secondo anno in Italia.

– Quindi, è stata lei che è venuta a prenderti a Roma…

 

– Quasi – sorride -. Ci siamo conosciuti a Roma. Io volevo fare comunque un’esperienza all’estero. Ho dovuto scegliere tra l’Inghilterra e la Spagna. Non è stato difficile. Tra l’altro, avevo molta curiosità. Volevo sapere se effettivamente la Spagna era quello che si raccontava in Italia: un paese affettuoso, rispettoso e felice. Effettivamente, è così. Mi ha sorpreso per organizzazione ed efficienza. Paragono Madrid con Roma, due capitali. In questo momento, Roma non è forse la città meglio gestita. Ha tanti problemi. Madrid, quando sono arrivato – prosegue -, mi ha impressionato per le sue infrastrutture. Allora era impeccabile, oggi un po’ meno. I trasporti pubblici, la pubblica amministrazione, il sistema sanitario, l’attenzione al cittadino. Tutto funziona bene. Già 15 anni fa tutto era on-line. C’è facilità di adattamento, ed un’educazione delle persone che si riflette nella pulizia delle strade. Dopo aver vissuto nel caos di Roma, la realtà spagnola mi ha preso impreparato. Ad esempio, a Madrid non è necessario avere l’automobile. Tutto è ben collegato. Gli autobus funzionano e sono puliti. E i taxi hanno un prezzo accessibile.  Se vuoi, puoi affittare veicoli elettrici, moto elettriche, biciclette, monopattini…

 

Economista, osteopata ed atleta

Prima esperto in economia finanziaria, ora specialista in osteopatia ma anche sportivo “doc”. In effetti, è stato atleta a livello agonistico.

– In quale disciplina? – chiediamo.

– Mah, atleta… forse non proprio – commenta con modestia -.  Diciamo semplicemente che ho sempre fatto sport; e l’ho fatto a livello agonistico. Ho praticato sci alpino e, negli ultimi anni, ho giocato rugby.

È convinto che gli sport “hanno dei valori psicopedagogici importanti”.  Ritiene che lo “sci è una attività agonistica molto più individuale mentre nel rugby prevale il gioco di squadra”.

– Si pensa che il rugby sia uno sport violento – afferma -. Ma, in realtà, non è così. Ci sono regole precise che, se si rispettano, evitano che ci si faccia male. Un aneddoto: il primo ed unico pugno che ricevetti giocando a rugby, me lo diede il capitano della mia squadra. Ero stato autore di un’azione scorretta e avevo perso la palla. Così facendo, avevo corso il rischio di una lesione, messo in pericolo la difesa della squadra e ceduto l’iniziativa agli altri. Con gli avversari, devi saper entrare in contatto. Per questo ci si allena tanto. Se il contatto è quello giusto, corretto e pulito, non ci si fa male.

– Come è stata la tua integrazione nella società spagnola? Hai avuto difficoltà?

– No, avevo un contratto di lavoro – ci dice -. Provengo dal settore dell’economia e inizialmente ho lavorato nell’ambito economico-finanziario. Lavoravo da lunedì a giovedì. Il venerdì viaggiavo o in Italia, per stare con la famiglia; o in Europa, per visitare altre istituzioni finanziarie. I primi quattro anni mia moglie ed io li abbiamo vissuti a distanza: lei in Italia ed io in Spagna. Le dissi: “fammi vedere come mi trovo in Spagna e se riesco ad ambientarmi”. In caso contrario, vado in Inghilterra. Dopo due anni, la mia situazione era stabile e mi trovavo bene. Comunque, lei dovette aspettare due anni ancora prima di trasferirsi a Madrid.

 

Quattro anni d’inserimento

Ciardo parla adagio, scandendo a volte le parole. A volte, indugia, alla ricerca del termine che meglio possa esprimere il suo pensiero. Ci dice che i primi quattro anni sono stati di inserimento professionale, senza cercare quello nella nostra Comunità.

– Volevo semplicemente capire la cultura spagnola – spiega -.  Non mi ero trasferito in Spagna con l’intenzione di mangiare solo italiano, di parlare solo italiano o di conoscere solo italiani. Poi, però, dopo 7 o 8 anni è nato il desiderio di partecipare alla vita della comunità italiana. E quindi ho conosciuto tante, tante persone. Molte, sono diventate ottimi amici. Abbiamo tutti le stesse problematiche, abbiamo le famiglie lontane e i genitori che diventano anziani. C’è poi chi si è sposato e ha avuto figli. Quindi, partecipo alle attività della Camera di Commercio Italiana per la Spagna, della nostra Ambasciata, dell’Istituto Italiano di Cultura, del nostro Consolato e delle altre istituzioni pubbliche e private italo-spagnole.

Antonio Ciardo riceve dal presidente del Comites-Madrid, Pietro Mariani, il “Premio all’Italianità”, nella categoria Medicina

Spiega che la nostra è una comunità costituita soprattutto da professionisti. E ritiene che non sbaglia nell’affermare che “chiunque abbia provato ad aprire una propria attività in Spagna, e a farlo con impegno e serietà, sia riuscito a ritagliarsi uno spazio”. E questa è una delle cose che lo ha “profondamente colpito”.

– Qui non c’è bisogno della “spintarella”, della raccomandazione – afferma categoricamente -. Posso affermarlo con cognizione di causa. Senza aiuto e da straniero sono riuscito ad aprire la mia Clinica.

–  In sintesi il giovane professionista in Italia è sottovalutato mentre all’estero è apprezzato e riesce a dimostrare quello che effettivamente vale – commentiamo.

– In Spagna – chiosa – considerano che abbiamo una gran capacità di risoluzione dei problemi, perché siamo molto trasversali in tutti i settori. Dicono anche che siamo molto bravi nel marketing. Insomma, che siamo capaci di vendere qualsiasi cosa.  Forse è il risultato del sistema formativo italiano, quello che poi tutti critichiamo.

Lo considera “complicato e duro”. A suo giudizio, dover affrontare un esame all’università significa studiare su testi di 1000, 1500 pagine. Quindi, “obbliga ad inventare strategie di sopravvivenza”.

– Sono forse proprio queste, associate anche alla formazione molto più classica che riceviamo nei licei – aggiunge -, che ci inculcano una maniera molto particolare di pensare, di lavorare e di gestire le situazioni.

 

Una svolta di 180 gradi

Dal settore economico-finanziario a quello sanitario. Una svolta di 180 gradi, un cambio di direzione drastico. Vuol dire chiudere una parentesi della propria vita per aprirne un’altra.

– Perché? – chiediamo.

– La medicina è sempre stato il mio amore – spiega -.  Ma studiare medicina avrebbe richiesto molto, troppo tempo. Ed io volevo essere indipendente. Uscire di casa. Allora, mi orientai verso l’economia. Avrei potuto studiare anche ingegneria. Ma a 18 anni pochi hanno le idee chiare.

Studia economia ma sempre con un sapore amaro in bocca, senza poter evitare la strana sensazione del desiderio insoddisfatto.

– In Italia – aggiunge -, ho fatto tantissimo volontariato in Croce Rossa. Ho lavoravo in ambulanza e al pronto soccorso. Poi sono venuto in Spagna. Quando decisi di tornare a studiare mi chiesi: che cosa? Finanza che è in crisi o la tua passione? Scelsi la passione.

 

Una nuova avventura

La compagnia per la quale lavorava decise di chiudere gli uffici in Spagna e di trasferire il team a Londra. Fu allora che negoziò la sua uscita dall’azienda ed intraprese la nuova avventura.

– Aprii la clinica – ricorda -. Cominciai praticamente da zero. Ho iniziato a poco a poco, con etica, con professionalità, con impegno e con sacrificio. I risultati sono alla vista di tutti. La soddisfazione è tanta. Ricostruire una vita basata sulla passione e sulla solidarietà non ha prezzo. C’è chi mi chiede: come hai fatto, qual è il segreto? Innanzitutto, lo spirito di sacrificio. Ma il vero segreto è la passione. Alzarsi al mattino alle 5:00 per studiare prima di andare in ufficio; studiare un po’ all’ora di pranzo; e continuare a farlo il fine settimana… Se non c’è passione, non si fa. Poi viene la soddisfazione… perché lavori in ciò che ti riempie e ti piace.  E continuare a studiare, a studiare, a studiare. Non basta la formazione iniziale… La formazione è continua.

– Combini la osteopatia con la terapia del dolore. Di cosa si tratta…

– Al principio ho studiato osteopatia – ci dice-. Poi, ho iniziato a espandere le mie conoscenze. Capire le problematiche che possono affliggere la persona a livello olistico e bio- psicosociale. L’idea è offrire un supporto integrale. Possiamo parlare di pazienti. Ma è chiaro che si tratta di persone. Quando siamo in una clinica scompaiono le differenze sociali – sottolinea -. Puoi essere un Direttore Generale, un tassista, un cameriere… siamo tutti uguali. Se si ha un’ernia, il dolore è lo stesso per tutti. Il dolore provoca sofferenza, ti blocca… Ho iniziato a studiare un Master sulla gestione del dolore cronico. Mi sono specializzato non a livello di interventi chirurgici o farmacologico. Quello è esclusivo dei medici. Il mio ambito è olistico bio-psicosociale. Cerco di conoscere qual è la problematica, la dimensione del dolore, la sofferenza del paziente, per capire come poterlo aiutare. E su quali professionisti poter contare. A volte le persone vogliono essere ascoltate. Quando parliamo di malattie croniche gravi, il peso ricade non solo sul paziente, ma anche sulla famiglia. Intervengo assieme ad un team interdisciplinare.

Spiega che il dolore ha diverse dimensioni. Ammette che innanzitutto “ci viene in mente il dolore fisico, la lesione. Ma assicura che il dolore “non è solo fisico”.

– Quello fisico è solo una dimensione del dolore – afferma – ma ci sono anche gli aspetti psicologici, sociali o spirituali. Queste sono le dimensioni del dolore che affrontiamo con un approccio bio-psico-sociale. Bio, perché è biologico; fisico, perché è meccanico ed è quello al quale solitamente pensiamo tutti; psico, perché è nella “nostra mente” e sociale-spirituale perché ci attaca da “fuori”. Abbiamo differenti dimensioni su cui possiamo intervenire. Il corpo può, parliamo in maniera tecnica, somatizzare. Trasformare impulsi psichici inconsci in disturbi di tipo organico e funzionale.

Illustra il caso dello stress. Spiega che questo provoca cambiamenti fisiologici.

– È facile parlare di stress; tutti siamo stressati – assicura -. Ma uno stato eccessivo di stress provoca cambi ormonali a livello neuro-endocrino. Il corpo sprigiona un eccesso di cortisolo che provoca il logorio cellulare della persona. Sono processi che si manifestano col dolore. Quindi, il paziente viene per un dolore lombare o per una contrattura cervicale. Il problema, in realtà, è un altro. Il dolore è la risposta meccanica a una situazione di stress dovuta forse a problemi familiari, o, ad una particolare situazione nel lavoro. Sono questioni psicologiche, emozionali che si manifestano col dolore fisico. La osteopatia, la gestione del dolore servono a individuare la causa e ad agire di conseguenza.

– Come si fa a capire se è sufficiente la terapia del dolore o è necessario un intervento chirurgico…

– Noi parliamo di medicina integrativa… di terapie integrative complementari – spiega -. Al nostro paziente non diremmo mai di cambiare le medicine o di non consultare il medico. Al contrario, siamo noi stessi a parlare con i medici. E spieghiamo quello che pensiamo di fare. La nostra è un’azione non invasiva e non farmacologica. Proviamo una terapia integrativa e complementaria. Chiaramente ci sono patologie che necessitano dell’intervento del chirurgo.

– Se vi rendete conto che la terapia può arrivare solo fino a un certo punto…

– Nel Regno Unito, in Inghilterra esistono dei criteri di bandiere: red Flag, Yellow Flag… – ci interrompe -. Insomma, un semaforo… rosso, giallo, verde. Se questo semaforo è rosso, consigli di andare dal medico. Il caso più comune è il dolore lombare provocato dall’ernia.  Il paziente si chiede: mi opero o non mi opero? Dipende, l’ernia sta toccando la radice nervosa? C’è una stenosi, che è il restringimento del canale del cono del midollo? Consiglio sempre ai pazienti di stabilire un limite, un numero di sessioni.  Se si avvertono miglioramenti, si prosegue. In caso contrario, ripianifichiamo il nostro l’intervento.  Non facciamo mai un’attività indefinita. Stabiliamo, di comune accordo, dei criteri e ci fissiamo un limite. Se c’è un miglioramento, evitiamo l’operazione. Se il dolore non cede, la soluzione è l’intervento del chirurgo. Si tratta di garantire quella che chiamiamo la qualità di vita. Se ci riesci hai ottenuto il risultato sperato.

Per concludere afferma che la clinica è anche un centro di formazione, sia a livello di terapie manuali e naturali, sia a livello di quelle più tradizionali di fisioterapia, riabilitazione neurologica, motoria, cognitiva attraverso osteopatia, naturopatia, nutrizione, psicologia.

– Vuol dire che – afferma senza nascondere il proprio orgoglio – è una clinica che offre una copertura importante in uno spettro molto, molto amplio. E poi parliamo diverse lingue. Non solo l’italiano e lo spagnolo ma anche l’inglese e il francese. I nostri connazionali, i pazienti di certo non hanno problemi per esprimersi e farsi comprendere.

Mauro Bafile

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