L’Ue spaccata sulla crisi, ultimatum di Conte ai leader

Il premier Giuseppe Conte
Il premier Giuseppe Conte. (ANSA/ EPA/FILIPPO ATTILI)

BRUXELLES.  – Non è soltanto una distanza fisica quella che separa i 27 leader europei riuniti nel primo  vertice di primavera in videoconferenza della storia. Le loro posizioni su come gestire la crisi economica innescata dalla pandemia sono sembrate più distanti che mai già in partenza, e nessuno è stato disposto a muoversi.

Ad alzare la voce ci ha pensato il premier Giuseppe Conte, che ha rigettato la bozza di conclusioni comuni e lanciato un ultimatum all’Europa: “Dieci giorni per battere un colpo”. Perché se si pensa di usare gli strumenti del passato, con aiuti indirizzati ai singoli Stati, “non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l’Italia non ne ha bisogno, facciamo da soli”.

In un’altra giornata buia per l’Europa, l’unica che ha fatto un passo avanti è stata Christine Lagarde, con la Bce che ha avviato il nuovo programma di acquisto di titoli da 750 miliardi di euro per l’emergenza pandemica, il Pepp, facendo saltare il limite del 33% agli acquisiti di debito di ciascun Paese.

In sostanza, è una nuova spinta ai leader a mettere in campo qualcosa di nuovo come i Coronabond, perché il Pepp, molto simile allo scudo anti-spread Omt ma non vincolato come esso all’attivazione del Mes, toglie ogni alibi a chi puntava sull’opzione Mes+Omt per i Paesi più in difficoltà.

Mentre anche il G20 si è impegnato a fare “whatever it takes” per “minimizzare i danni economici e sociali, rilanciare la crescita e mantenere la stabilità dei mercati”, l’Unione europea cerca di tradurre in azioni quell’intenzione ormai ripetuta da giorni. Le strade possibili non sono molte, e poco prima della riunione dei 27 leader, dal documento di conclusioni è sparito anche l’unico riferimento a qualcosa di concreto, cioè l’utilizzo del Mes.

In teoria è un modo per non legarsi le mani ad un solo strumento e lasciare la porta aperta a tutto. In pratica, è la trasposizione nero su bianco di quella distanza talmente ampia che aveva impedito anche all’Eurogruppo di raggiungere un’intesa.

La descrive chiaramente il cancelliere austriaco Sebastian Kurz: “Respingiamo una mutualizzazione generalizzata dei debiti”, ha detto prima dell’inizio del vertice. E anche la Germania ha ribadito con tempismo la sua posizione: “Non ritengo che gli Eurobond siano lo strumento giusto”, ha messo in chiaro il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, più o meno nelle stesse ore.

L’Olanda e la Finlandia sono state altrettanto categoriche. Ricompattando il fronte dei rigoristi come non si vedeva dai tempi dell’austerità imposta alla Grecia.

Da allora, molto sembrava essere cambiato: il “mea culpa” dell’ex presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker verso i greci e la dissoluzione della troika, l’apertura della Ue verso un orientamento di bilancio più espansivo e la disponibilità della nuova Commissione ad un approccio generale più flessibile sui conti pubblici.

Ma, nel momento del bisogno, i nodi vengono al pettine: il Nord non si fida del modo di gestire i conti pubblici del Sud, ed esattamente come dieci anni fa non è pronto a mettere in comune risorse, tantomeno i propri debiti, facendo da garante a Paesi al di sotto della tripla A.

Ma nessuno pensa a una mutualizzazione del debito pubblico. Ciascun Paese risponde per il proprio debito pubblico e continuerà a risponderne”, ha provato a spiegare Conte ai colleghi Ue. Ricordando che l’Italia “ha le carte in regola con la finanza pubblica: il 2019 l’abbiamo chiuso con un rapporto deficit/Pil di 1,6 anziché 2,2 come programmato”.

Francia, Irlanda, Grecia, Portogallo e Lussemburgo hanno plaudito al messaggio di Conte, ribadendo l’appoggio già espresso nella lettera sui Coronabond che hanno firmato in nove. Ma, per ora, non è servito.

(di Chiara De Felice/ANSA)